Visita a La Ca’ Rotta

12 giugno 2021
Trascrizione del racconto fatto da Stefano Vegetabile durante la visita a La Ca’ Rotta

La Ca’ Rotta è un progetto di ecovillaggio che è nato nel 2011-2012, da una associazione che faceva eventi culturali e poi pian piano si è evoluto. Nasce su una casa che è a San Bartolomeo, qui sopra questa rocca dietro di noi. Qui siamo a un crocevia di comuni: dove siamo adesso è Narzole, la rocca che vedete davanti a voi è Cherasco, quella collina davanti a voi è La Morra e subito lì a destra è Barolo. E’ anche un vantaggio, perché è rimasto intonso questo grande bosco di cui siamo custodi per una parte, visto che ci sono i confini dei vari comuni. Nasce questo primo progetto, che è un’associazione, poi, pian piano cominciamo a strutturarci e nasce l’idea di lavorare su un concetto di sostenibilità in maniera più profonda, ovvero, non facciamo solo più l’evento culturale, che facciamo il sabato e la domenica, ma proviamo a vivere il più possibile secondo questi principi, quindi un impegno più quotidiano. Per cui pian piano si articola questo progetto di ecovillaggio. Non è una cosa nuova, c’è da un centinaio d’anni in tante realtà ipercollaudate nel mondo, anche in Italia ce ne saranno una cinquantina, almeno, ci sono anche delle reti, Reti Italiane Ecovillaggi che spiega benissimo i principi, di cui noi facciamo parte. Su abbiamo ristrutturato una casa un po’ più grande di questa, in buona parte in economia, a parte alcune cose strutturali come il tetto, che sono state fatte, con tutte cose un po’ strane; per esempio abbiamo rifatto tutti i battuti sotto, abbiamo scavato sotto, perché è una casa disabitata da almeno 30 anni, abbiamo scavato, abbiamo rifatto tutti i muri, non c’erano le fondamenta quindi abbiamo forzato un po’ i pilastri sotto, poi abbiamo preso contatti con tutti i ristoranti della zona -che sono buona parte nostri amici, perché io sono della Morra e gli altri, più o meno, anche di queste zone qua- e tutti lunedì passavamo a raccogliere furgonate di bottiglie vuote di vino con cui abbiamo fatto tutto il pavimento sotto, incastrandole in modo particolare per evitare gli alveoli sotto. Era un’azione simbolica, chiaramente, per creare una relazione sul territorio, per riciclare queste bottiglie che normalmente vengono buttate ed è andata bene, funziona tuttora, sono passati 10 anni quasi e non ha problemi. Ci siamo dovuti un po’ inventare perché c’era una piccola prova che avevamo visto in Francia di un bagno che era 10 mq, mentre noi dovevamo fare una superficie di 250 metri, però è stata una bella esperienza e con questa ispirazione siamo andati avanti su tutto il resto della ristrutturazione. Poi chiaramente alcuni materiali vengono comprati, anche la maggior parte delle cose che vedete qua, le cucine, i tavoli, buona parte sono state cose riciclate, quindi tante persone che dismettevano ce le davano, noi le riparavamo, le rimettevamo in uso. Questa è stata un po’ l’idea generale del progetto, insieme a tante altre. Nel 2015 ci rendiamo conto che la parte agricola era formata, ma era molto piccola, coltivavamo qualche pezzettino di terra qua e là, che ci veniva data in comodato d’uso, e troviamo questa occasione che ci suggerisce un amico e ci dice: guarda che c’è una cascina veramente vicino, perché l’altra casa noi a piedi ci mettiamo a 20 minuti, passando nei boschi e allora siamo venuti qua e quindi una parte di noi principalmente io, Ivana e nostro – al tempo ne avevo uno solo,  Elia- ci siamo trasferiti qua. Con l’aiuto di altri ragazzi abbiamo ristrutturato questa parte e abbiamo impostato tutto quello che è il progetto agricolo. Abbiamo voluto fare un’azienda, quindi noi siamo un’azienda a tutti gli effetti, perché, per una serie di motivi sapevamo che ci complicavamo molto la vita, siamo anche i certificati biologici, e sapevamo che ci saremmo complicati la vita anche molto di più, perché abbiamo un’idea di agricoltura un po’ diversa dal solito e quindi essendo che l’azienda ha tutta una serie di strutture standardizzate, paletti da rispettare, giustamente, perché è un’attività produttiva, la stessa cosa la certificazione bio, però, abbiamo detto, vogliamo provare, perché sennò rischiamo di fare aria fritta, quindi l’idea era di riuscire a coltivare secondo il metodo che adesso vi illustrerò, con il tentativo di produrre per vendere e quindi mantenere in piedi un sistema economico, semplice -non siamo persone che lavorano solo per il profitto- ma un’economia necessaria per vivere, per continuare alla ristrutturazione eccetera eccetera e devo dire che con molte difficoltà soprattutto per un’azienda nuova, per farsi conoscere e farsi il mercato, però devo dire che fino adesso ce l’abbiamo fatta; chiaramente non è facile, ma ce l’abbiamo fatta e quindi va bene. Il metodo di cui parliamo è tutto quello che è un tentativo di andare un po’ oltre quello che è il normale biologico, per quello dico che a volte ci mette in difficoltà. Perché proponiamo tutta una serie di tecniche che non sono ancora disciplinate, che sono super biologiche però sono innovative e quindi, non essendo standardizzate, a volte siamo in difficoltà nella compilazione dei registri, dei fascicoli perché loro non prevedono questa tecnica che richiede tutta una documentazione in più rispetto a quella che normalmente devi fare e che diventa veramente molto oneroso per una microazienda come siamo noi. Faccio un esempio semplice: se vogliamo fare una consociazione, una cosa semplicissima per il biologico, ovvero semino su una fila una pianta di pomodori e una di basilico e andare avanti così, il programma informatico non riesce a rilevare questa cosa per cui devo scegliere o faccio pomodoro o faccio basilico. Finché sono due file non c’è problema, nel momento in cui cominciano a diventare 1000, 2000, 3000 piante, come potrebbe essere la nostra situazione, magari tra un mesetto, che andiamo a piantare, ci ritroviamo con delle discrepanze sul fascicolo grandi di 500 metri di una cosa, 500 metri di un’altra che ci sono realmente, ma in pratica il programma non le vede, perché hai solo una casellina e puoi scrivere solo un nome per volta. Però questo è anche uno stimolo, l’abbiamo presa con molta filosofia, non ci arrabbiamo ogni volta ed è anche uno stimolo perché se questo è biologico sei tu che devi rinnovare il programma, non è che sono io che non devo fare una consociazione, perché la consociazione è la base della natura. Se noi andiamo in qualsiasi bosco, prateria, sterpaglia -come potete vedere qua di sterpaglia ce n’è tantissima- c’è sempre promiscuità poi ci sono anche delle situazioni di monocoltura in natura, ma sono normalmente delle situazioni temporanee. E quindi questa è un po’ anche una parte del lavoro; lo dico perché normalmente non viene mai detto, stesso discorso, ad esempio, sui semi: noi ci facciamo buona parte dei semi che ogni anno ci teniamo, tante volte compriamo semi nuovi, perché non siamo riusciti, tante volte compriamo i piantini perché non siamo riusciti a farli, però tendenzialmente questa è la filosofia aziendale che da alcuni prodotti come il grano è molto precisa, nell’orto è molto più difficile; lavoriamo sulle varietà più antiche mentre sulle varietà più standard di solito andiamo al vivaio, cerchiamo un po’ di fare questi compromessi, che poi non sono neanche compromessi, secondo me, sono cercare di rendere più efficace il processo senza riuscire a vivere perché la giornata diventa lunghissima, questo è un po’ il discorso. Detto questo, qua si lavora in questo modo: il concetto è quello dell’organismo agricolo, un concetto primario. L’organismo agricolo è un concetto, in questo periodo spesso si parla di agroecologia, un termine molto in voga soprattutto nelle parti più scientifiche, ma è un concetto di biodiversità, quello che era la vecchia fattoria, diciamo così, viene un po’ ricostruita secondo logiche moderne; la differenza sostanziale è che una volta le aziende agricole erano famiglie che producevano cibo per sé e vendevano le eccedenze, oggi, invece, l’azienda agricola è sempre più un apparato produttivo, dove entrano in un mercato molto difficile, c’è bisogno di molta comunicazione, c’è bisogno di stare a lavorare sulla filiera eccetera per cui ci si specializza sempre di più; invece un’azienda polifunzionale ha un equilibrio difficilissimo da mantenere, quello della vecchia logica contadina e della nuova logica d’impresa: questa qua è una delle più grandi difficoltà per tutti quelli che hanno una micro idea di fare un’esperienza come la nostra. Mio nonno, per esempio, non sapeva neanche che giorno era, se era sabato, domenica, Natale, lui partiva al mattino e viveva e vivendo custodiva il paesaggio e questo paesaggio gli generava cibo. Questa è la nostra filosofia base che teniamo anche noi oggi in questo progetto, però tutto il resto, appena usciamo da questi confini, tutto il resto la pensa in un altro modo: la pensa che oggi è lunedì, sono un po’ stanco perché ieri era festa, lavoro fino a 12:00 poi vado via poi faccio 2 ore e poi se non faccio oggi faccio domani. E quindi è veramente molto difficile riuscire a conciliare questi due modi di pensare. Perché man mano che tu crei un sistema ecologico, all’inizio hai bisogno di sostenerlo molto, poi pian piano lui fa da solo; noi ce ne stiamo accorgendo molto bene dei risultati -sono passati 5 anni- incomincia a vedersi, soprattutto in alcuni settori, veramente un grande cambiamento, però, inizialmente, tu devi costruirlo questo sistema, perché il sistema non c’è. Qualunque sistema agricolo, come adesso strutturato, parte da una domanda molto semplice: quanti chili a ettaro produco di questa coltura. Questa è la domanda a cui tutto il sistema produttivo deve rispondere e quindi il vivaio, per rispondere a questa domanda, farà determinate selezioni, chi vende i concimi farà determinate selezioni, il contadino farà determinate selezioni, il sesto d’impianto sarà calcolato sulla larghezza del trattore eccetera eccetera. Questa è una cosa molto utile per noi che vogliamo lavorare in modo moderno, ma molto difficile per la natura, perché la natura lei continuamente crea, non standardizza mai, lei rinnova continuamente, lei rilancia sempre la palla, perché è un continuato creativo, quindi se noi vogliamo, come essere umani, inserirci in questo contesto agricolo paesaggistico, dobbiamo sostenere questo processo creativo; se riusciamo a stare nella sua logica, riusciamo a essere una pedina molto importante per la natura. Faccio un esempio: il bosco, che è uno dei sistemi a cui ci si ispira, insieme alla prateria, quindi quando si parla di frutteti, vigneti ecc. ci si ispira al bosco, quando si parla di orto, per i cereali ci si ispira alla prateria, che sono le due tendenze che ha la natura: la natura, se tu la lasci da sola lei, tranne alcuni casi particolari dove fa il deserto, se no o tende alla prateria o tende al bosco e noi, quando facciamo un sistema agroecologico, dobbiamo usare quelle logiche. L’uomo è una pedina molto importante, per fare un esempio il bosco ci mette più o meno 100 anni a fare 1 cm di suolo: per suolo si intende terreno ricco di vita, non un substrato di coltivazione, ma la madre che diventa fertile, queste erano le parole che si usavano una volta, oggi invece si parla di substrato di coltivazione, è molto più sterile come concetto. Un’azienda agricola che lavora con sistemi agroecologici in 7 anni riesce a fare 20-30 cm di suolo utile, il che vuol dire che se l’uomo comincia a lavorare con la sua intelligenza e la sua capacità di muovere gli oggetti con le logiche della natura, tutti i dibattiti che ci sono – se riusciamo a sopravvivere, siamo in tanti, siamo in pochi, bla bla bla- scomparirebbero immediatamente perché oramai ci sono 100 – 150 anni di studi su queste cose che vi sto dicendo, sono iper studiate, c’è solo una grande difficoltà culturale nel metterle in pratica. Questo perché se parliamo con gli anziani loro hanno una conoscenza e un modo di vivere che li inserisce nel paesaggio, noi invece oggi siamo un po’ a metà strada, dobbiamo trovare questo punto di equilibrio; questo è il nostro costante sforzo quotidiano, riuscire a trovare questo punto di equilibrio. La parte filosofica è molto semplice, la potete trovare in tutte le agricolture naturali a cui potete ispirarvi: la biodinamica, la permacultura, la sinergica, la Korean natural farming, la sintropica, l’elementare… ce n’è fin che volete: sono tutti tentativi di andare oltre questi problemi che dicevo prima, oltre un concetto deterministico semplificato della natura. Sono tutti approcci olistici ecologici, chi più chi meno, con tecniche diverse che si ispirano alle agricolture indigene dei vari posti del mondo. Per esempio, la Korean natural farming propone una serie di fermentati, che per loro sono semplicissimi, perché sono tutti lavorazione del riso, dello zucchero, del pesce, per noi sono complicatissimi perché se devo fare un preparato a base di pesce e devo pagarlo 50€ al chilo -o 30, quanto costa, non lo so- conviene che vada a comprare il pellettato sicuramente. Tutte queste varie correnti a volte si scontreranno, se leggerete qualcosa, perché arrivano da punti di vista diversi, magari loro hanno una foresta pluviale a cui si ispirano, noi invece abbiamo un clima che una volta era temperato, adesso un po’ meno, e quindi ci sono questi grandi problemi culturali, Una delle cose che facciamo qua è sperimentare tantissimo, per cui tutte queste tecniche di cui vi ho parlato, almeno un anno noi le abbiamo provate. In tutto questo abbiamo appreso quello che nel nostro clima, nel 2021, in Italia, in Piemonte, nelle Langhe può funzionare, e quindi andiamo a selezionare tante cose. La differenza sostanziale tra l’agricoltura convenzionale – che sia chimica o biologica –  è che vogliono fare una tecnica riproducibile, invece l’agricoltura naturale vuole creare il contadino cioè una persona che è in grado di muoversi sul paesaggio e custodirlo completamente, perché la logica fondamentale è proprio questa: si lavora sempre sul paesaggio, si crea sempre sistema e dal sistema saltano fuori i frutti. La domanda principale non è quanti chili per ettaro tiro fuori di pomodori da questa superficie, ma è come faccio a creare relazioni funzionali nel sistema ecologico, in modo tale che saltano fuori i pomodori? Questa è la domanda che muove tutte le azioni che sta dietro questo tipo di agricoltura.

Qual è la misura che ti fa dire funzionale uguale a?

Funzionale è la parola difficile nella frase, nel senso che noi di solito abbiamo il concetto di biodiversità = caos, confusione -non sempre, ma quando andiamo nel bosco siamo investiti da un sacco di sensazioni, buone o di paura, diciamo oh come si sta bene nel bosco, guarda questo, guarda quell’altro, però mentalmente facciamo molta fatica a comprendere le relazioni tra le piante: com’è possibile che qua ci sono delle felci grosse così e mi sposto di 2 metri e non ce n’è neanche una? Normalmente spieghiamo questa cosa con il caso. Invece non c’è nessun caso, ci sono delle logiche precisissime, super precise, questo lo possiamo vedere sempre: se io metto una manciata di semi di pomodori e li butto a gennaio nell’orto non è che casualmente sono morti, io ho usato una logica sbagliata, perché il pomodoro entra in campo, la natura entra in campo in un determinato punto; la pianta di fagiolo si arrampica sulla canna in senso antiorario, se noi la arrotoliamo in senso orario, lei si srotola e si riarrotola in senso antiorario e non è casuale perché lo fa sempre, c’è una logica precisa, e la logica è che le leguminose sono azoto fissatorie, se lei gira in senso orario non riesce a fissare l’azoto, e quindi deve girare in senso antiorario, è precisissima questa roba. La stessa cosa vale per le relazioni: non è detto che se metto due piante insieme, vicine quelle vanno d’accordo, però se comincio a studiare botanicamente tutte le piante passo la vita e l’orto non lo faccio mai, diventa difficile. Quindi le agricolture naturali tentano, lavorando con le popolazioni indigene, che queste cose le sanno con la mitologia, con le fiabe, con l’esperienza hanno dei sistemi di osservazione molto precisi per creare queste combinazioni funzionali cioè una relazione che crea un sistema vantaggioso. In permacultura si dice che ogni oggetto viene ubicato nello spazio e deve avere almeno tre relazioni funzionali sennò è la produzione sbagliata. Quindi per dirvi come questo tipo di agricoltura è continua pianificazione del paesaggio, quindi prima di iniziare a fare un orto, o continuamente lo si fa, si va osservare il paesaggio, osservare le pendenze, come si muove l’aria, come si muovono i venti, come gira l’ombra, dove ghiaccia; sulla mappa segniamo dove c’è l’ombra ad agosto, dove c’è l’ombra a gennaio, a dicembre e così mettiamo le colture seguendo quella linea di ombra, per esempio. Faccio un altro esempio: sappiamo che i venti si muovono a un determinato ritmo, avete presente quando guardate le previsioni meteo e vedete le nuvole che girano e girano sempre un po’ a vortice, ecco le stesse cose succedono anche nel micro, se fate attenzione, più o meno tutti i giorni, alla stessa ora, si vede lo stesso vento che passa, sempre nella stessa direzione, tranne il temporale, però noi parliamo proprio del micro vento e queste cose qua gli anziani le sanno.

Quindi significa anche, meraviglioso, lodevole il lavoro che fai tu, ma significa anche che se solo avessimo raccolto, ovvio, dagli anziani di qua ciò che sapevano, avremmo indicazioni pazzesche.

Io queste cose, tra l’altro, adesso le ho studiate sui libri, in permacultura eccetera, però quando ero piccolo, e andavo da mia nonna ad aiutarla in vigna, lei, a un certo punto, quasi tutti i giorni diceva, in dialetto: c’è il vento di mezzogiorno, andiamo a casa. Pensavo mi prende in giro, invece era vero, poi ci ho fatto caso, in effetti si levava una brezza semi uguale.  Anche nella vigna, due anni fa, parlo della nonna perché lei è veramente un custode. Io ho due nonne, una molto intellettuale, una per niente intellettuale, molto agricola; mi sono relazionato da piccolo fino all’università sempre con la nonna intellettuale, prendendo anche molto in giro, dentro di me, l’altra nonna, invece, negli ultimi 10-15 anni mi sto relazionando tantissimo con la nonna agricola e mi rendo conto che ha una conoscenza indigena inimmaginabile. Due o tre anni fa mi telefona un tecnico, nostro amico, che seguiva i vigneti e dice attenzione perché tanti vigneti sono stati ustionati anche qua nella zona di Barolo perché faceva troppo caldo, quindi hanno despogliato male. Gli ho detto: guarda, non c’è problema perché mia nonna esce solo un metro fuori casa e lei dice: quella vigna là due foglie sopra, quella vigna là due foglie sotto, quella vigna là non toccate niente, quella vigna là togli tutto, semplicemente guardando dalla finestra, perché ha una conoscenza tecnica del paesaggio incredibile e quello che le agricolture naturali vogliono portare è questa relazione col territorio con tutta una serie di conoscenze moderne che arrivano dal sistema ecologico che abbiamo, quindi dalle conoscenze batteriche, da come funziona il suolo: è sempre multidisciplinare, iper multidisciplinare fare il contadino, bisogna sapere qualunque cosa che si deve fare con la natura. Faccio un altro esempio: adesso si tratta di un sistema abbastanza stabile, però inizialmente studiavamo i venti, che nel nostro caso girano principalmente così e così, da dove arrivano i venti, adesso di qua, come arrivano i venti arrivano gli insetti, per esempio, perché noi non possiamo pensare che l’insetto sia un falco che a un certo punto dice vado là e parte; hanno un sistema di volo molto semplice ed è anche molto faticoso: per un insetto fare 100 metri è tantissimo, rischia la vita migliaia di volte in quei 100 metri e quindi loro si muovono sfruttando o i venti oppure i raggi luminosi. Se voi guardate il volo di una vespa al rallentatore, con una macchina particolare, vedete che c’è un raggio luminoso, per noi invisibile, e lei continuamente gli gira intorno, tastando col suo corpo il raggio, è come se fosse una strada per lei, la segue. La stessa cosa per i coleotteri, che fanno più fatica a volare: si muovono con il vento, vengono spinti dal vento. Immaginate che qua ci sono delle farfalle la vanessa carnica, abbastanza frequente nelle nostre zone, che arriva dal Nord Africa e la sua migrazione si muove tutto volando a pelo d’acqua e quindi sfruttando questa micro corrente del vento che sfiora l’acqua e risale leggermente e lei ha sempre questa corrente di risalita dell’aria che la spinge dalle coste del Nord Africa fino qua. Adesso, in questi periodi, comincia ad arrivare e tra l’altro sono migrazioni individuali, non sono di gruppo e quindi ogni farfalla fa da sé: immaginate il trasporto del vento quanto è funzionale a una farfalla e quanto è una simbiosi inscindibile, che noi dovremmo conoscere. Se noi vogliamo attirare degli insetti dobbiamo sfruttare questo vento. Che tipo di insetti vogliamo attirare? Le farfalle, per esempio. Allora cosa facciamo? Dicevamo soprattutto all’inizio: ma come fai a difenderti dai vicini? All’inizio ti devi difendere, perché non hai il sistema, poi dopo sono i vicini che incominciano a guadagnare dalle tue coccinelle che sono qua e vanno a mangiare anche i loro i pidocchi. Per esempio, arriva al vento, io metto tutti i fiori, perché so che i fiori attirano gli insetti, dopodiché faccio una bella striscia di cipolle e agli e poi di nuovo fiori poi di nuovo cipolle e agli e poi la coltura che mi interessa, ad esempio il pomodoro. Per cui cosa avrò: arrivano gli insetti, ho un attrattivo e una barriera, un attrattivo e una barriera e quindi le prime flotte vengono attirate e fermate in un punto. Praticamente tu gli stai dicendo: venite insetti ma state qua, non andate dai pomodori però venite perché nel momento che arrivano sia i parassiti cattivi, diciamo così per l’agricoltore, che gli insetti utili, io genero sistema e loro vanno sicuramente in equilibrio. Sono io agricoltore che devo conoscere il ciclo biologico degli insetti il più possibile, devo avere sangue freddo da dire perdo il raccolto, non lo perdo, monitoro, faccio attenzione e decidere se intervenire con un prodotto biologico, per esempio, di abbattimento e quando intervengo non voglio fare tabula rasa perché se faccio tabula rasa non arriverà mai la risposta della natura col predatore. Devo lasciare 1-2-3-5% tecnico, che io decido di sacrificare per far sì che arrivi il predatore. E’ sicuro che arriva il predatore perché se io adesso metto qua una bistecca, sono sicuro che il cane la mangia e tutti i giorni viene a vedere se c’è la bistecca; la stessa cosa vale per gli insettini, per la coccinella eccetera: se ci sono i pidocchi in questa parte delle foglie, sulla parte apicale della pianta, è perché lì c’è del cibo per i pidocchi, che è linfa, quindi vuol dire che la pianta, in qualche modo, ha troppa linfa o perché è una pianta soggetta, non è stata selezionata e magari non è stato tenuto conto di questa peculiarità, o perché è stata messa nel posto sbagliato, o perché è piovuto troppo, o perché io non l’ho curata bene o perché ho messo troppo azoto quando ho preparato il terreno eccetera e quindi lei comincia a buttare via linfa il più possibile, la manda qua, chiaramente, perché riesce a farla evaporare meglio, quindi i pidocchi vanno lì perché c’è cibo. Quindi, se io ammazzo solo i pidocchi, tanto loro si riproducono. La caratteristica degli insetti che noi chiamiamo patogeni è la velocità di riproduzione, si riproducono velocissimamente, molto più veloce di un predatore. Immaginate un uccellino, che potrebbe essere un predatore, prima che arriva qua, trova il posto giusto, nidifica, trova la compagna, fa le uova, se va bene passa un anno, invece loro in mezza giornata hanno colonizzato la foglia quindi io devo avere questi tempi e decidere quanto posso intervenire io e quanto faccio intervenire la natura. Muovendomi in questa logica, e creando sempre più relazioni funzionali, funzionali vuol dire che se voglio attirare gli uccellini, poi dopo devo dargli un posto per fare il nido, se no questi non è che stanno qua ad aspettare me, poi dovrò dire: ok, questo inverno però non ci sono gli insetti quindi devo lasciare una coltivazione in campo in modo che rimangano a mangiare ed è molto semplice, magari metto dei girasoli qua e là; quando vado a trebbiare il campo, anziché trebbiare fino all’ultimo chicco lascio una fila e il cibo è bello e fatto, non è che bisogna inventarsi chissà che. Alla fine ci saranno 10 kg di girasoli, non c’è problema. Questi qua, vedete, è tutto grano, qua magari abbiamo fatto pacciamatura con la nostra paglia o magari abbiamo pulito ne ritroverete tantissimo nell’orto, lasci quello e il cibo per gli uccellini per questo inverno c’è già e quando vado a raccogliere, alla fine ho sacrificato 3 kg di farina. Questa è un po’ la logica che sta dietro a tutti i ragionamenti.

Fino a una generazione prima di te, tuo nonno, diciamo, in effetti, tutto questo loro lo sapevano, perché erano secoli che imparavano uno dall’altro. Adesso, chi voglia fare questo lavoro, come fai tu, com’è che deve riacquisire, perché loro ce l’avevano, noi non ce l’abbiamo più quasi una sensibilità; quando tu dici devo sentire il vento, bisogna sentirlo perché io non sono sicura di accorgermi del vento di mezzogiorno, poi so che si impara, ma intanto. L’altra cosa è che effettivamente sembrerebbe, oggi si cercano le tecniche riapplicabili, in questo modo invece ogni azienda è a sé.

Esatto. Ci sono delle linee guida che sono delle consociazioni che sono super consolidate per tutta la parte dei mezzi tecnici, cioè i concimi o gli ammendanti. Gli ammendanti sono quelle cose che si vanno a fare per sostenere il suolo, tipo il letame, il compost, e i concimi, invece, sono quelli che si vanno a dare sulla pianta. Per esempio, nel nostro caso, può essere un macerato d’ortica. Tutti i mezzi tecnici vengono sempre più fatti in azienda, alcuni sono molto semplici, come il macerato d’ortica, altri sono molto difficili, a volte ci vuole anche un anno per riuscire a farli, ma questo è solo questione di applicarsi un po’; per esempio ci sono molte linee guida su queste cose qua, ci sono anche molte linee guida su macro aree, perché ormai ci sono 100 anni di osservazioni, studi empirici su questa cosa. In questi giorni avete sicuramente sentito parlare di agricoltura biodinamica, di cornoletame ecc. ecc. Al di là della tecnica, che è una pratica vecchia che nasce tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del ‘900 quando era la cosa più semplice trovare un corno di vacca in qualunque casa, perché tutti avevano 2-3 mucche, è stata praticamente la prima agricoltura naturale, possiamo dire a livello mondiale, che è stata analizzata secondo un pensiero scientifico razionale e in più è un’agricoltura europea, per cui il bello di questa roba della biodinamica con tutte le cose che possiamo andare a criticare, se noi leggiamo questi libri, prima cosa troviamo tutti gli ingredienti e seconda cosa non c’è bisogno di fare traduzioni culturali; se invece prendiamo dei testi che arrivano dalla Corea o dal centro del Sudamerica, lagricoltura sintropica, ad esempio, è bellissima: parte dal presupposto che bisogna creare un sistema agronomico in 7 livelli di altezza di piante. Si parte da questa altezza, questa altezza, questa altezza e si va su su 7 altezze in modo da stratificare i vari livelli di insetti, di luce, di uccellini ecc. ecc. Nasce in Brasile, è fighissima, funziona benissimo, ha un sistema filosofico bellissimo, ma nel momento che la applichiamo qua è un disastro, perché la nostra pianta più veloce potrebbe essere una gaggia, che se comincio a piantarla dopo 3 anni pollona tutto e quindi siamo in forte difficoltà, quindi il lavoro che si sta facendo in questi anni, si parla già da parecchi anni, a livello italiano ci sono in aziende microscopiche come le nostre, agronomi, hobbisti che fanno continuamente ricerca applicata di queste teorie che arrivano per riuscire a fare una traduzione botanica dei testi che magari arrivano da una coltura indigena brasiliana, perché quello che loro hanno osservato è molto interessante; noi non abbiamo questa capacità di osservazione del bosco, noi abbiamo la capacità di osservazione, per esempio, dell’allevamento; noi possiamo insegnare molto a loro sull’allevamento; sul bosco noi abbiamo un rapporto molto più antropizzato, la cultura mediterranea, se studiate la storia dell’agricoltura, vedete che adesso la parte di bosco è enorme rispetto a quella che era nel Medioevo, nel 1400: quando si dice “recuperiamo i boschi” , guardate che da quando nasce l’agricoltura in Europa, cioè coi Greci, questo è il momento in cui c’è più bosco in assoluto semplicemente perché lavoriamo con le macchine e quindi tante zone non riusciamo più, prendo semplicemente la mappa di questo posto, è più vecchio del 1930, tutta quella Rocca che vedete fino a metà era grano, mentre adesso non riesci neanche più a entrare. I nordici hanno una concezione del bosco molto più profonda della nostra, quindi loro ci possono insegnare molto; è per quello che dico ci sono queste grandi comparazioni di dati anche a livello internazionale, nascono adesso alcuni master in alcune università di agroecologia – ci sono un paio di  scuole in America, per adesso in Italia quasi solo a discapito di qualche insegnante che vuole mettere dei corsi o di università private, purtroppo – però in realtà delle radici c’è un grandissimo lavoro di aziende, di associazioni o di agronomi che stanno traducendo botanicamente queste cose, per cui diranno che la sintropica va bene, non lavoriamo su 7 livelli, ma su 4, mettiamo i pioppi in questo modo, mettiamo i salici di qua: traducono le piante del posto ed è un lavorone perché chiaramente queste sperimentazioni durano 10-15 anni, però adesso possiamo già usufruire di tanta conoscenza.

Quest’azienda è molto estrema da questo punto di vista, uno perché siamo molto idealisti, due perché siamo un progetto particolare che ho spiegato prima, tre perché ci piace fare tanta sperimentazione. Quello che vedete adesso è in parte replicabile, in parte è difficilmente replicabile per il discorso dell’equilibrio che dicevamo. Noi abbiamo un’azienda molto polifunzionale, quindi produciamo un po’ di tutto, in micro quantitativi che sono ortofrutta, cereali che vanno in rotazione con i legumi e un po’ di vino. In parte è replicabile, le proporzioni che abbiamo tenuto qua sono quelle della vecchia fattoria. Fino ai nostri nonni tutti avevano tot di terra per il bue, tot di terra per il grano, tot di terra per il fieno, tot di terra per l’orto, tot di terra per la vigna. Questo era quello che serviva loro per vivere. Quindi, se c’è una logica dietro e cose, e l’uomo di inserisce nella natura, quelle proporzioni lì sono funzionali. E come dire, se ci son 1000 gazzelle e 100 leoni è chiaro che nel giro di 1 anno o 2 la situazione va a equilibrarsi. Quindi se l’uomo produce per sé e mangia tot di orto, tot di vegetali, tot di frutta, se tiene queste proporzioni in base a cosa mangia, funziona. Le relazioni sono già giuste: quanto di una cosa, quanto di un’altra. Noi abbiamo ragionato in questi termini e abbiamo aumentato queste percentuali. Per quello dico che è replicabile, nel momento in cui qualcuno vuole lavorare in questo modo, dall’altra è molto difficile perché hai poca specializzazione, soprattutto meccanica, perché con un trattore come questo, quando vado nell’orto faccio danni perché è troppo grosso, quando vado nel grano prima che arrivo al fondo della fila divento vecchio. Quindi dovrei avere un parco macchine specializzato per ogni cosa se volessi produrre su larga scala. Adesso si fanno dei sistemi più funzionali per coltura per cui se si vuole fare una vigna o un frutteto o un orto in agroecologia, si va a lavorare solo su quel micro elemento. Noi invece lavoriamo su un sistema ancora più complesso: ogni apparato produttivo è un organo funzionale dell’organismo agricolo, c’è tutta una logica precisa. Questa parte qua, dal laghetto a salire, è l’orto, poi ci sono i cereali che partono da questa terra piccolina, il semenzaio, dove facciamo noi i piantini, ad andare giù, c’è dell’erba medica, dove ci sono i fiorellini gialli quelli sono ceci, poi ci sono cipolle e piselli, poi abbiamo il grano, poi ancora patate e mais. Questo pezzo di terra è 4 ettari, giù c’è un pescheto di circa 500 piante e un pascolo. Quindi una logica è il macro, una logica è mettere piante del bosco nell’orto, una cosa matta: gli uccellini che vengono dal bosco hanno bisogno di una sosta, quindi devo creargli la strada, quindi loro arriveranno su quel salice grande che vedete lì, poi verranno in questa zona selvaggia, poi nidificano là. Quest’anno è il primo anno che abbiamo dei nidi in questa stagione, ci abbiamo messo 4 anni. Il nostro pescheto è molto disordinato, tutta la parte bassa sono siepi che vanno al confine con i campi; dentro ci sono le pesche e le albicocche. E’ molto importante lavorare sempre sui confini: dovete immaginare che il vostro sistema è una cellula e la membrana cellulare è il cervello della cellula. Lì c’è la maggior parte delle combinazioni funzionali. Se andate dove l’acqua del mare si incontra col fiume, lì c’è l’acqua salmastra, la maggior parte della biodiversità la trovate lì. Ai bordi del laghetto che stiamo facendo lì ci sarà il massimo della biodiversità: dove c’è un punto di confine tra due ambienti, qui c’è una strada con del ciottolato, molto arida, qui c’è un prato, in questo punto è il confine tra organismi diversi, il punto da andare a osservare: qua le piante si organizzano in un modo, molto difficile, qua si organizzano in un altro modo e la vita si rinnova qua, io devo studiare questo. Qua ho le risposte di come questo terreno vuole evolvere. Se voglio dare la caccia alle lumache non a casaccio ma vado subito nella zona più umida del mio sistema. Una volta che ho lavorato lì, ho risolto il problema delle lumache. Sul confine ci sono problematiche e soluzioni: la lumaca è un problema per me, non per la natura. La natura vede un terreno calcareo e richiama tutti gli esseri che portano silice: la bava della lumaca è silice, quindi fa una continua bava di silice sul terreno che è utile perché il terreno vuole evolvere, vuole fare l’humus. Se vado nel bosco vedo l’humus. Non è un caso che sia la stessa radice semantica di uomo, lì gli antichi avevano visto il segreto della natura, l’humus è dove la morte diventa vita, un concetto filosofico che loro avevano visto nell’humus. Io sono un antropologo, non sono un agronomo, questo mi aiuta a capire meglio questa agricoltura più vecchia a cui mi ispiro tantissimo, poi le riadatto.

Dai peschi ho messo il prugno selvatico: prima di tutto fa una siepe, quindi crea zone d’ombra molto forti, gli uccellini nidificano meglio che in altri posti, in più è un vivaio perché io lo posso innestare. Quindi quando mi manca una pianta posso prendere un pollone da quello, lo metto sulla fila e l’anno dopo lo innesto, se riesco, altrimenti vado avanti a comprare il piantino. Il prugno inoltre è la pianta selvatica del pesco. La radice è selvatica, la parte sopra è domestica; per noi è una tecnica, per la pianta è una possibilità ma è una difficoltà, perché la radice ha un istinto e la chioma ha un altro istinto e devono dialogare. La maggior parte delle malattie arrivano per ‘sta roba qua. Nella vigna è un po’ diverso perché è ipercollaudato. Se parli con un anziano lui te lo dice, ti dice vuoi una frutta rotonda un po’ rossa o gialla? Allora il prugno va bene. Perché avevano visto che questi due istinti generavano questo tipo di pesca. Se invece vuoi una varietà più resistente la prendi in franco -loro avevano solo quelle soluzioni lì – oppure un mandorlo, noi invece oggi il porta innesti sono dei …. 
La natura genera un caos funzionale, sempre. Qua, ad es, questo pezzo lo vorremmo coltivare, lo coltiveremo questa estate, vedete che pomeriggio la casa qua farà ombra, quindi qui abbiamo l’unica parte di tutto il sistema dove c’è sole al mattino e forte ombra nel pomeriggio. Per cui vuol dire, agosto, posto buono per le insalate. Così avanzo di irrigare. Noi irrighiamo più o meno 1 ora a settimana, però devi capire dove mettere. Qua adesso le pecore stanno pascolando, stanno pulendo: la pecora è il pascolo, è una delle simbiosi più vecchie del continente, non è che la pecora va lì e mangia perché a fame, soprattutto quelle anziane mangiano un ciuffetto qua uno là e arrivano alla sera con le mammelle piene di latte. Invece le pecore giovani mangiano e arrivano a sera con le mammelle vuote. E intanto imparano. Loro stimolano le piante che vogliono mangiare; in base a come brucano stimolano la pianta al ricaccio perché sanno che se mangiano e distruggono tutto non funziona quindi il loro sistema di brucare stimola la pianta a ricacciare. Io col pascolo osservo le piante che vorrei abbassare un pochettino, che sono le piante, in questo caso, a seme, faccio entrare il pascolo: o faccio fare tutto a loro, per cui devo fare rasare al suolo che sembra deserto, dopodiché, alla prima pioggia, ripartirà una biodiversità pazzesca, oppure posso razionalizzare. Razionalizzare è una parola difficile perché col termine razionale ci mettiamo cose che non c’entrano niente, funzionale è meglio. Per es, se voglio abbassare questa coltivazione, che non è il caso perché è un buon pascolo, soprattutto in gravidanza, la pianta è molto esposta perché sta chiaramente buttando seme; se loro pascolano adesso la indebolisco molto. Posso usare questo sistema oppure faccio pulire tutto quindi, in questo caso, loro avanzano il romice, dopo faccio pascolare le galline, per cui le galline si mangiano i semi, razzolano, distruggono tutto, stimolano. Del resto anche voi, se vi fate un taglio profondo la risposta del vostro corpo rispetto è molto più lunga perché c’è tutto un problema anaerobico, di pus, di strutture ecc. invece se faccio un piccolo graffietto in un attimo il sistema immunitario manda le piastrine e mette tutto a posto, quindi io stimolo il sistema immunitario e lui si fortifica. La stessa cosa qua: il movimento della gallina non è quello dell’aratro, che passa e capovolge. Una volta aravano coi buoi, quindi quando dicono no l’aratro, assolutamente no. Ni, nel senso, l’aratro è uno strumento, ha delle funzioni che devo conoscere: è chiaro che se passo sul terreno bagnato a 90 cm di profondità distruggo tutto. Se passo a 30 cm e vado piano ci può stare, non è il massimo delle pratiche naturali però si può fare. Loro, praticamente, stanno preparando il terreno per le insalate. Gli animali sono una delle tecniche più rapide di rinnovo, se fatto con un certo modo, altrimenti sono un disastro. Tutto quello che si dice degli allevamenti è vero perché noi mettiamo 1000 vacche poi gli diamo da mangiare delle porcherie. Se noi mettiamo 1-2-3 unità, in modo che ci sia l’elemento giusto, funziona benissimo, anzi, stimola tantissimo.

Questa prima parte di orto la facciamo tutta a mano. Questa parte qui è a riposo, quest’anno, la stiamo preparando per i cavoli, poi, più avanti. Quindi, facciamo venire cosa viene, perché: dovete immaginare che questo qua, il rumex, è un seme che è in grado di stare latente nel suolo per 70 anni e a un certo punto decide di saltare fuori. Perché gli agricoltori se la prendono sempre col farinaceo, gramun d’espagna, l’amaranto? Perché tutti gli anni creavano le condizioni perché il terreno scelga quelle 3 piante. Se noi invece lasciamo fare a lei, sappiamo che la sua logica è fare l’humus; il problema è che lui ci mette 100 anni, io invece dovrei farlo un po’ più velocemente. Questa sicuramente è la coltivazione giusta perché tra tutte le specie qua possibili hanno scelto questa. Allora noi la lasciamo, poi, quando sarà ora, sugli appezzamenti grossi facciamo pascolare, su quelli piccoli normalmente ricostruiamo per cui pieghiamo, lasciamo la pianta, pacciamiamo con diversi sistemi di stratificazione e andiamo a trapiantare lasciando l’infestante sotto. La tecnica è un po’ lunga ma ho un vantaggio di 6 mesi sull’infestante, a trapiantare ci metto mezza giornata e poi il lavoro è finito e in più le radici lavorano sotto terra. Il grosso del lavoro lo fa la radice. Potete avere tutti i macchinari che volete ma voi fate una reazione meccanica, forzata, super invasiva. La radice è l’essere vivente che la natura ha scelto per migliorare il terreno. Qui ci permettiamo di lavorare a mano per cui facciamo questa tecnica: la radice continua a lavorare, a miscelare, a donare essudati zuccherini, a dare micorrize,a tirare ife. Loro stanno lavorando per me, stanno drenando il suolo e lo stanno mettendo a posto, io arriverò qua ad agosto e lascio loro e metto i miei cavoli. Se io taglio l’erba faccio quello che farebbe il bovino, la stimolo a ricacciare. Se la estirpi perdi il lavoro della radice, poi, per quanto tu sia bravo ad estirpare, rimane un pezzettino, perché la pianta sa che può essere estirpata. Poi ci sono altre tecniche, dei macerati, delle tisane… Se questa è la pianta che il mio organismo agricolo ha scelto per fare terapia su questo suolo, vuol dire che questa pianta deve fare qualcosa, quanto ha finito il lavoro ne arriva un’altra. Io dico, questa è una graminacea per cui metto il grano, vuol dire che il mio organismo agricolo adesso sta spingendo per fare graminacee – perché portano carbonio in grandi quantità, carbonio nobile, veloce, regolano i processi acquatici quindi vanno a cercare di risolvere il problema del ristagno idrico – quindi io dico assecondo una coltura domestica a una selvatica ed è una logica che noi facciamo in diversi posti. L’altra logica è quella che vi ho spiegato. Oppure se io faccio tutta una serie di cerati o di fermentati di un certo tipo, molto velocemente porto l’informazione che lei porterebbe in, più o meno, 10 anni, 5 anni. Io, in 1 anno, gliela riporto 7-8-10 volte e l’anno dopo non c’è più. Faccio un macerato con quell’erba lì per un anno, due, poi ce n’è un’altra, chiaramente, magari anche peggio. Perché come vedete quando andate in montagna che ci sono licheni che aggrediscono le rocce, estraggono le prime sostanze minerali poi scendi giù qualche arbustino, poi scendi giù le conifere che acidificano poi scendi giù le latifoglie e lì trovate l’humus, quindi dalla roccia che erode il lichene all’humus delle latifoglie, a livello spaziale, di altitudine c’è tutto un processo di erosione dei nutrienti. La stessa cosa la fa la stessa successione nel tempo in uno stesso spazio: la natura lo fa sia in senso spaziale, quindi lo si può fotografare, lo vedo lì, nella roccia, la latifoglia, l’intero processo evolutivo, e nello stesso spazio il susseguirsi delle colture fa la stessa cosa per cui il primo equilibrio che viene portato è quello elettromagnetico, perché nel terreno c’è normalmente da 0,9 a 1,2 di azoto: il concime più blando in commercio ne ha 10% – 20% – 50%, che tra l’altro è un nitrato, quindi un sale. Qui ho un equilibrio di azoto insieme ad altri micro elementi tenuto insieme da legami deboli. Se io butto un grande quantitativo di 1 elemento, 2 elementi, 3 elementi – azoto, fosforo, potassio- succede che, come una grande calamita chimica, mi canalizzano gli altri, creano dei legami energetici molto forti che io non riesco più a rompere, quindi ho delle carenze: carenza di ferro, magnesio ecc. La prima cosa che osserverete quanto iniziate a fare agricoltura naturale, è un riequilibrio elettromagnetico del suolo, poi avrete un equilibrio batterico, poi uno fungineo e tutto questo è in relazione con le piante, perché una determinata pianta, un determinato batterio, una determinata frequenza elettromagnetico, per quello dico biodiversità funzionale. Per es. il noce: gli anziani dicevano, non andare a dormire sotto il noce che non dormi bene, adesso è risaputo che manda segnali chimici nel suolo che allontana le altre piante; la stessa cosa per quella margheritona bianca che trovate un po’ dappertutto. Quella margheritina è arrivata dalle guerre mondiali, manda segnali chimici nel suolo e tende a colonizzare tutto ed è molto invasiva nei vigneti c’è solo più lei; guardate qua com’è trattenuta, perché c’è caos funzionale. Qui ho lasciato così e ogni tanto sfalcio, perché faccio un po’ di pulizia, prendo un po’ d’erba e la do alle oche e c’è questa graminacea e romice lì in mezzo hanno pascolato le galline tutto l’inverno, le abbiamo tolte, era tabula rasa, cemento armato, adesso vedrete cosa c’è, quando torniamo indietro. Io non ho messo niente. Qui mettiamo …. creiamo delle zone d’ombra, lasciamo l’erba sotto, perché lì è dove vanno a nidificare gli uccellini, dove vanno gli insetti, poi quando serve, vengo qua, piego, se devo fare una pulizia del colletto per evitare malattie lo posso fare d’inverno, inutile che lo faccia adesso, adesso chiudo e pacciamo così tiene l’umidità. Perché l’ambiente stimola l’evoluzione dell’individuo, tutti gli individui hanno un patrimonio genetico attivo e un patrimonio genetico in potenza quindi è l’ambiente che stimola l’evoluzione genetica dell’individuo.

Più una pianta è microstimolata più diventa resistente; anche noi: qua abbiamo tutti i giorni dei micro input che ci fanno evolvere in una determinata direzione, chi vive in Sud America ne avrà degli altri.  L’ambiente stimola. Questa parte è molto sperimentale, era un pezzo di strada, una volta facevamo il carbone qua, quindi è tutto ….. , di quello vero, adesso lo stiamo sterilizzando, ho messo dell’avena ma non è ancora nata e in questa zona farò piante aromatiche e tintorie. Lì ci sono 2 siepi che non si vedono perché sono nell’erba: lavanda e rosmarino, piccoline. Le lascio sempre nell’erba così stanno più umide. Qua hanno pascolato le pecore, adesso hanno lasciato il romice, adesso sfalcio o metto le galline dopodiché preparo il terreno per le zucche. Qua facciamo il carbone, qua è carbone che sta macerando secondo varie tecniche. Questo carbone è fatto con gli scarti di potatura delle piante, lo andiamo a cuocere in questa vasca e riusciamo a ottenere una pirolisi, una cottura in assenza in ossigeno: è un sistema sudamericano molto efficace. Stocca un sacco di CO2 perché la pirolisi non emette CO2 nell’aria, la stocchi nel terreno, hai un inerte di altissima qualità perché dura tra i 500 e i 1000 anni e perché vai a creare la casa perfetta per micro organismi, perché più 1 meno un centimetro cubo arriva ai 300-500 metri lineari di cavità. Ed è la dimensione giusta per i batteri utili. …… In alcuni casi lo metto in profondità nel suolo per evitare i problemi di ristagno idrico, quindi fermentazione con i lactobacilli, invece in fermentazione con micorrize, una super spugna in superficie per andare a creare questa struttura. Nel nostro caso va anche per rompere l’aspetto colloidale dell’argilla. Serve sia in terreni argillosi, per rompere l’aspetto colloidale, sia in terreni sabbiosi per creare un po’ di scheletro. E si può fare con gli scarti di potatura.

E’ una tecnica che qua non si usava?
Qua non c’è conoscenza, loro hanno studiato un sistema di pirolizzazione semplicissimo, noi ne abbiamo studiato uno molto complicato che è la carbonaia. Noi abbiamo la cultura della cenere negli orti, non abbiamo la cultura del carbone. Il carbone, tra l’altro, è molto efficace ma molto pericoloso, va dosato molto bene, va attivato con i microorganismi sennò, come sapete, con il carbone fanno i filtri per cui lui va a succhiarti i nutrienti; c’è un processo di fermentazione che lo porta a saturizzare. Io ho sperimentato un paio di bancali, i risultati sono eccezionali. Il problema è che magari ci ho azzeccato.

Qua, per esempio, come preparo. Là, che erano erbacee, taglio e trapiantiamo, queste qua invece sono piante, peperoni, amaranti e necessitano una rincalzatura per cui facciamo la prova: sono stati trapiantati una settimana fa, più o meno, quindi trapianto, aspettiamo un attimino, sarchiatura, rincalzo e pacciamatura dopo. Dopodiché basta. Questa è la nostra terra, come vedete, una terra da orto “favolosa”, veramente durissima… da orto proprio no.

Qua vedete che l’argilla fa la crosta? Perché c’è l’argilla, bla bla bla, perché vuole proteggere la vita che c’è sotto, quindi noi dobbiamo subito coprire il suolo. Sulle piante erbacee, togliamo il problema alla radice, perché pacciamiamo e piantiamo; su queste, che hanno bisogno di una rincalzatura almeno, facciamo questo processo: in alcuni anni, faccio una pacciamatura veloce, parziale, la tolgo, rincalzo e poi faccio la pacciamatura definitiva con paglia. Sempre copertura del suolo sennò perdo suolo, cioè tutta l’attenzione è sempre rivolta al suolo, perché se la pianta ha profondità di spazio, è nutrita bene, c’è vita nel suolo, non c’è problema, lei ha tutto il patrimonio genetico per riuscire a cavarsela da sola. Poi alcune varietà come i pomodori e la vigna sono molto suscettibili e allora gli diamo degli aiuti. In vigna l’anno scorso abbiamo fatto 2kg di rame a ettaro, che è pochissimo. La vigna è strutturata in maniera diversa perché è un ambiente più monocolturale.

Questo è un bancale dove abbiamo fatto l’esperimento del carbone

Troverete tante piante che vanno a seme: 1) perché ci facciamo i semi; 2) perché attiri gli insetti; 3) perché, come tutte le madri del mondo, la pianta, madre, prepara il terreno per i figli, che sono i semi che cadono giù. Noi dobbiamo fare le rotazioni, le consociazioni perché noi raccogliamo qua, la cicoria, quando ha un mese di vita, invece lei è una pianta biennale. Come tutti gli esseri viventi, nella prima fase della vita, prende  prende  prende  prende  prende  e poi, a un certo punto, dovrà cominciare a donare alla famiglia, alla società, quello che ha imparato. La stessa cosa fa la pianta: lei adesso sta preparando il suolo per i suoi figli che cadranno qui, non è che andranno tanto lontano, e quindi porta informazione. E sotto, se c’è humus, l’informazione viaggia velocissima. Quando una giraffa comincia a mangiare una pianta, nel giro di pochissimi minuti tutto il boschetto inizia a far uscire una sostanza amara per far sì che la giraffa vada da un’altra parte. Perché è una simbiosi: la pianta sta facendo mangiare la giraffa dove vuole lei, in modo tale che la poti dove vuole lei. La stessa cosa per questo: nel momento in cui manda l’informazione qua, questo è il terreno migliore che sono riuscito a fare per la cicoria, se sotto c’è acqua, humus, vita e funghi, l’informazione viaggia sottoterra e le altre piante di cicoria lo percepiscono e questo è tutto spiegato scientificamente si chiama wood wide web.

Questo è il sistema che ho fatto col carbone, è 3 anni che è fatto col carbone, vedete come prende i nutrienti, questo il suolo di prima, guardate questo come si è strutturato. Ho messo il carbone, il compost, vado con una mano e faccio questo. Questo è il risultato di quello che dicevo all’inizio, quindi qua ha funzionato, ad esempio, molto bene. La terra è strutturata, ha tenuto la struttura, perché se butti compost tutti gli anni devi buttarne. Lavoriamo su 3 tipi di compost: compost rapido (con paglia), compost un po’ più duro (con …) e un compost col carbone che lavorano su 3 processi di decomposizione della sostanza organica e di attivare un sistema di autofertilizzazione.

Quello è il nostro pollaio mobile, una casetta che abbiamo costruito con le ruote, quindi lo facciamo pascolare. Tutti e tre si spostano, lì ci sono le paperette, delle galline (messe da parte perché a volte bisticciano un po’ con queste). Quello più grosso porta circa 30 galline. Le galline mangiano quello che trovano sul terreno e poi do anche l’integrazione con … Quando c’è una produzione in corso ricaviamo una fascia di lavoro e in mezzo al caos – perché questo è cibo, gli uccellini stanno qua perché c’è cibo. Qui ci sono coste, sedani, cavoli, spinacio. La rosa, per la cultura occidentale, è un po’ come il fior di loto per l’Oriente, ha la stessa valenza simbolica, poi ci piacciono anche. Abbiamo lavorano con il discorso che facevamo prima sulle barriere. Sono tutte rose che abbiamo fatto da talea e qua è un’area di confine. Andiamo a rallentare e ad accumulare acqua per i terreni che poi pian piano andiamo a convogliar. Là c’è l’ambiente del laghetto che stiamo creando dove tutta una bolla di vapore, di umidità, dovrebbe cominciare a muoversi in questa zona. Se c’è uno stagno, ci sono i bordi dello stagno con le consociazione che dicevo prima e poi c’è una bolla di umidità grande almeno il doppio, il triplo dello stagno che porta aria umida nel sistema, che non né che sia buona, è un elemento funzionale, poi è sempre problematica.

Qua facciamo sperimentazioni con una piccola attrezzatura agricola meccanica perché ci sono anche tante aziende agricole che vengono a imparare e se dici che è tutto manuale, dicono vabbè ciao. Lavora su questi canali, dove si va a tenere sempre la rotaia del trattore, si va avanti e indietro sulla rotaia in modo da fare una stratificazione al contrario: prima costruiamo il suolo a salire, quindi pacciamatura e su, pacciamatura e su, poi a un certo punto risaltano fuori le infestanti, ma non c’è problema, le buttiamo giù, e ripacciamiamo sopra e tra 3 anni mi trovo tanto così di humus. Qua, col trattore, facciamo al contrario, cioè stratifichiamo sotto: bisogna essere molto veloci, la tecnica funziona se sfalci, fai quello che devi fare, rippi, fresi, trapianti e fai la pacciamatura in 1-2 giorni. Ci sono altre tecniche su larga scala, che non ho ancora provato nell’orto, la sto provando nei frutteti e nei vigneti, che è quella di rullare l’erba, mai sfalciarla, quindi rulliamo continuamente in modo anche da avere un accesso facilitato alle coltivazioni, la pianta continua a lavorare, ad andare a seme, continuano ad arrivare gli insetti che impollinano ecc., ci sono costosi rulli apposta, noi lo facciano con rulli normali, passi un po’ più velocemente ma va bene, gli altri funzionano bene sui seminativi, cosa in cui noi, invece, abbiamo ancora un po’ di difficoltà per quanto riguarda alcune rotazioni, tipo il mais, per esempio: abbiamo un terreno molto compatto su cui dobbiamo fargli passare l’inverno rippato, per cui abbiamo questa fase di solarizzazione molto forte. Per contro, andiamo poi a lavorare con i legumi, che vanno a ristrutturare.

Queste sono le pesche. Guardate questa qua davanti e quella là, piena di bolle che è inguardabile. Queste non hanno niente, trattamenti effettuati uguale, cioè niente, né di qua né di là. Normalmente il pensiero moderno dice è fortuna, o qui o lì, invece lì c’è la soluzione, lì bisogna osservare. Come mai non te lo so dire, però è molto interessante questa roba. Sui pescheti faccio 2 trattamenti di polisolfuro di calcio sul bruno per la bolla, che è un trattamento biologico classico, zolfo cotto con la calce, qua non faccio niente: non hanno mai niente, non so se è perché magari fanno parte qua del sistema, le altre hanno molto poco.

Abbiamo anche la nostra flotta di api che fanno un po’ di impollinazione. E’ molto importante la copertura del suolo perché evito l’erosione, il dilavamento dei nutrienti, l’evaporazione. Queste qua sono le strade, le lascio per ultime, qua nel giro di 1-2 mesi sarà tutto orto perché adesso metto le zucche, poi gli zucchini, i pomodori da conserva, poi finocchi, cavoli, brassicacee e quindi le pecore non avranno più pascolo. Quando farà molto caldo andranno sotto i frutteti poi quest’autunno fanno le strade, tutta questa parte la sfalcio io a mano in modo da stimolare il pascolo per loro e arriveranno a sett-ott-nov fino alle nevicate che mangeranno tutte le verdure delle strade e ce ne sono tante.

Qua potete vedere nel micro quello che potrete vedere nell’orto tra 3 mesi, le infestanti sono marginali, vedete pomodori, coste, zucchini, qua sto mettendo una miscela per le api, è molto importante mettere i fiori qua, le api arriveranno qua e poi entrano in serra e vanno a impollinare, non ho mai comprato un bombo. ….. borragine, tante brassicacee, qui c’è una coltivazione di pomodori, loro gli fanno ombra, quindi tra un po’ toglieremo le brassicacee se hanno smesso la fioritura, quindi abbiamo una fioritura naturale, fanno un casino di sostanza organica, le lasciamo sul suolo, mettiamo una seconda linea di pomodori e a quel punto non avranno più ombra quindi farò un ombreggiante. Le brassicacee tolte seccano e vanno ad arricchire il terreno.

Questa qua è un’altra serra, non so cosa è successo perché più o meno lavoro tutto uguale, ma è successa una cosa strana, il terreno è iper strutturato, risultato di un’alta attività batterica, sono micro palline tutte attaccate.

Lì è la parte che sta sfogando, che sta andando verso la biodiversità naturale, adesso sto capendo se mettere delle zucche o lasciare a riposo. Questo è un posto molto particolare perché qua c’era una monocoltura di pesche, quindi chimica ce n’era tanta, il vecchio proprietario ha scassato – vedete lì un paio di metri è andato giù – quindi questa parte di orto è molto peggio di tutte le altre. Abbiamo provato anche con una canapa legale, una pianta che sostiene il suolo, abbiamo fatto questa prova, avevamo già provato ma non era andata molto bene, proviamo questo secondo tentativo. Nella serra una volta all’anno, a rotazione, tolgo il nylon, gli faccio prendere un inverno. Gli antichi dicevano che la neve è la concimazione celeste, quindi porta una serie di informazioni utilissime per il suolo tant’è che, a livello morfologico dicevano che – avete presente quando la neve fiorisce che fa quella struttura di crescita? – quella morfologia è quella che dobbiamo cercare nel suolo. Quando il suolo fa quella struttura lì tutto va bene. Per quello una volta si arava, il terreno sfioriva però si arava con cognizione di causa, quindi le cose funzionavano. Adesso, invece, l’aratura è molto incriminata perché fa un sacco di problemi. Per esempio, in questa serra qua – è un sacrificio molto grosso perché è la nostra serra più produttiva – attualmente c’è aglio. Sacrificio perché l’ho lasciata scoperta e non ho potuto mettere cose più produttive, perché l’aglio potevo metterlo benissimo fuori. Per cercare di recuperare anche economicamente la mia idea era di lasciare l’aglio, che comunque è un depurativo del suolo, così gli do anche una pulita, quei fili bianchi sono due linee di pomodori che ho piantato ancora lì, andrò a mettere il nylon a settembre così cerco di prolungargli l’estate e spero che vadano in produzione tra ottobre-novembre. Perché la pianta ha un ciclo. Mentre noi ragioniamo per logica, esperienza e improvvisazione emotiva, loro ragionano per memoria. Quindi, date queste condizioni io faccio questo, quindi se loro sentono il freddo e poi sentono il caldo, primavera e cominciano a muoversi, per questo si mettono i semi in frigo, quindi qua il discorso è che se loro sentono l’estate come la primavera e poi gli metto il nylon, loro continuano a lavorare. Questa è l’idea, vediamo se funziona.

La canapa sostiene il terreno perché è una pianta molto rustica che va a fare dei carotaggi in terreni che ne hanno molto bisogno. Qui abbiamo già fatto 2-3 anni di sovescio per il discorso dello scasso. Ci sono anche altre pratiche che mettiamo in atto per farlo ripartire, però la canapa è una di quelle piante ristrutturanti. Ci sono piante poco esigenti, molto esigenti e ristrutturanti, come le leguminose. Lei va a portare oligoelementi, nel mio caso va a fare carotaggi profondi, che è quello che serve, per l’aspetto colloidale, lascia un casino di biomassa, che è un’altra cosa che ci serve perché dobbiamo portare sostanza organica. Adesso stiamo cercando di capire se raccogliere le infiorescenze o il seme, il verde sta lì.

Lì c’è il compost. Sono 250 tonnellate di letame che stanno lì un anno, c’è tutto un processo più o meno lungo. Noi facciamo diversi tipi di compost: a volte si fa il compost biodinamico, a volte uno più rapido, quello biodinamico dura 1 anno è molto valido, è quasi un compost terapeutico, poi facciamo molti biofertilizzanti liquidi che vengono attivati con siero di latte, lievito di birra, sia aerobici che anaerobici che facoltativi. Tutti i bidoni che trovate in giro sono dei fermentati che vengono poi irrorati. Si lavora con le micorrize per cui si va nel bosco, si fanno dei campionamenti, si studiano i microsistemi, si fanno dei prelievi e si riproducono su crusca, o in acqua o zucchero.

In quanti siete a lavorare?

Io e Ivana ci siamo sempre, per fortuna essendo un’azienda così bizzarra ci sono tanti volontari che arrivano costantemente, tanti, tanti. Saranno 40-50 volontari all’anno. Normalmente stanno da un periodo di 15 giorni all’anno. Quest’anno siamo in difficoltà per 3 ragioni. 1) ci sono pochi volontari perché non possono girare 2) sono diventato papà un mese e mezzo fa 3) faceva molto freddo per cui siamo molto in ritardo.

Per i volontari ci appoggiamo a diverse catene: Woofing, Workaway, …. che sono volontari degli ecovillaggi: alcuni si fanno un anno sabbatico, altri cercano di capire del loro futuro, vogliono scappare dalla città e non sanno da che parte andare, altri sono molto interessati a fare un progetto e vengono per imparare. Cerchiamo sempre di averne 1-2 che stanno qualche mese e gli altri a rotazione.

E’ gente che ha già lavorato in campagna?

Ni. C’è tanta buona volontà ma poca conoscenza pratica.

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Il Grano.
Per poterlo vedere bene, la zona di confine non va tanto bene, dovremmo andare più all’interno del campo però questo qua è il risultato di 10 anni di osservazioni: come potete vedere, questo campo di grano è pulitissimo, non ci sono infestanti; tanti pensano che venga a diserbare di notte. Il biologico ha questa logica: la logica di avere una zona di pulizia prima del grano, che può essere normalmente l’erba medica, un saraceno, coltivazioni molto funzionali, ma anche, se non sei un’azienda zootecnica, di più difficile distribuzione, con delle rese molto basse. Noi abbiamo sempre fatto così. Adesso sono un po’ di anni che lavoriamo su una miscela: abbiamo iniziato a recuperare varietà antiche, si parla più o meno di 10 anni di varietà antiche, in Italia e in Europa, alcune autoctone altre un po’ meno: un po’ meno vuol dire che magari non sono del nord Italia, sono andato a prenderli nel sud Italia, in centro Italia, in Austria, in Svizzera ecc. Si facevano tutte parcelle, tutto monitorato, si lavorava con diversi studi di ricerca, con degli agronomi. A un certo punto mi sono stufato e ho fatto una miscela: qua, vedete, è una varietà non arristata, una varietà ristata, varietà ristate (o arristate?) molto basse, varietà più alte, arriviamo più o meno fino a 1.60 m, la Senatore Cappelli è molto più alta, 1.70-180 m, a volte mettiamo anche della segale e arriviamo ancora più in alto. Abbiamo cominciato a lavorare in questo modo e i risultati sono buoni da tutti i punti di vista: 1) la miscela è panificabile. Ogni farina che comprate è una miscela: il mugnaio, in base a cosa ritira, miscela per arrivare a un 220W, 05+suL che sono 2 numeri che loro ricercano sapendo che il consumatore medio – non professionale – ci fa la pasta, i fagioli, le tagliatelle. Questa miscela è panificale, chiaramente con varietà antiche, quindi con poco glutine, facilmente digeribili, però non è una farina di forza, chiaramente. Quindi c’è un’ibridazione naturale, l’ibridazione del grano è molto lenta, dall’1 al 3% massimo, per cui pian piano la miscela si autorinnova e diventa una miscela specifica di questo posto. Lavoriamo molto su altezze diverse, la difficoltà mia è a colpo d’occhio capire, delle 7 varietà che ho messo dentro, quanta percentuale c’è di ognuna. Dopo il raccolto non riesco più a riconoscerle, chiaramente, e quindi andrò a riequilibrare la miscela in caso di squilibri perché questa miscela qua mi permette di avere tutta una serie di vantaggi tra cui la pulizia del terreno, cioè siamo riusciti a capovolgere completamente la logica agronomica dove normalmente il grano è la coltura più difficile perché non posso diserbare. Anche il chimico è in difficoltà perché a questa altezza, con le rotaie, deve calpestare. Noi abbiamo lavorato finché siamo riusciti addirittura ad avere una miscela che mi pulisce un terreno sporco e lo facciamo con diverse altezze, diversi apparati radicali. Le piante basse soffocano le erbacce. Ci sono 7 livelli di altezze, tra i 5 e i 7, dipende dagli anni, quindi fanno filtrare tutti gli spettri luminosi e riesco a contenere la cosa. Se voi guardate dentro ne trovate di erba ma non è assolutamente problematica. In più, quest’anno, ho fatto anche una bullatura, che è una trasemina di erba medica, quando la pianta è molto piccola ci abbiamo fatto anche pascolare le pecore dentro così favoriamo l’accestimento e questo è il risultato: c’è dell’erba ma non è assolutamente un problema. Il primo anno me ne sono accorto in maniera accidentale, il secondo anno l’ho rimessa in un posto pulito per capire come funzionava, quest’anno l’ho messa apposta in un campo sporco. Qua l’anno scorso c’erano dei ceci che ho buttato via perché non sono riuscito a trebbiare tanto era sporco il campo, quindi proprio il pezzo più brutto di tutti i seminativi che abbiamo. Vedete il risultato. La difficoltà grossa è questa: cosa ho qua dentro? Bisogna andare a vedere le spighe, per equilibrarle perché le varietà più alte tendono a prendere il sopravvento. In questa logica si invertono i concetti.

I grani antichi sono grani che hanno tanti anni?

C’è verna, marra, tutta quella linea lì – gentilrosso, borsa del pastore…. Abbiamo varietà più basse come il bolero, varietà che non è antica ma non è neanche delle nuove

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Su tutto quello che è il mondo batterico l’agricoltura più naturale è arrivata a fare l’agricoltura simbiotica, dove si vanno a inserire delle micorrize selezionate dal laboratorio e seccate – sotto forma di polverina oppure di miele, melassa; vengono messe nella macchina per seminare quindi vengono seminate col grano, quello che è, e vanno a lavorare in maniera rapida su tutta la fase germinativa e di levata. Questa, per es. è un’applicazione dell’agroindustria alle cose che abbiamo detto stamattina. Visto in un percorso storico che siamo passati da trattamenti a calendario di vent’anni fa all’agricoltura simbiotica è fighissimo, naturalmente. Per come lavoriamo noi quella è una semplificazione estrema perché, per esempio, noi questi lavori qua li facciamo con microorganismi indigeni, quindi si lavora solo con le micorrize del posto, quindi se si ha un bosco di riferimento è perfetto perché si ha un vaccino continuo e super diversificato di batteri, che sono batteri che hanno vissuto qua dalle ere geologiche più antiche, e quindi hanno già visto tutte le glaciazioni, i surriscaldamenti, non patiscono niente, si adattano alla velocità della luce. Ci sono studi interessantissimi su queste cose qua. Faccio una parentesi: le tecniche di riproduzione e fermentazione sono molto sicure quindi è impossibile riprodurre patogeni, quindi si vanno sempre solo a riprodurre gli organismi utili. Le ricette in questi casi sono abbastanza importanti quindi lavorare sulle dosi, sulla temperatura. Non hai problema di salmonelle o robe del genere. Quando diciamo microorganismo è un mondo enorme: in 1 millimetro cubo di humus vengono stimati 1,4 miliardi di esseri viventi, quindi vuol dire che in una manciata di terreno ce n’è due volte la popolazione del pianeta di esseri monocellulari o poco più. Noi, in agricoltura, andiamo a selezionare i funghi, i batteri e i bacilli: con quelle 3 macrofamiglie facciamo quasi tutto. Quindi c’è una grande famiglia che va a demolire tutta la sostanza organica: quando si fa il compost e si dà per es. il lactobacillo, si va a fare in 1-2 anni quello che magari il bosco fa in 50, nel senso, cade una pianta, cadono le foglie, vengono demoliti dai batteri che creano la sostanza organica sempre più semplice finché vengono fissati nel suolo come complesso argillo unico della pedofarma, il lombrico per eccellenza, dopodiché i funghi demoliscono nuovamente questa cosa e rilasciano energia alle piante, quindi si crea questa simbiosi: la radice viene – c’è come una prolungazione della catena fungina che va a estrarre un minerale, a volte anche 2-3-4-5 metri più in là rispetto a dove finisce fisicamente la radice che per un sistema di staffette porta il nutriente alla radice e la radice per un sistema di staffette porta sugli apparati radicali zuccherini alla catena micorrizica e chiaramente questo cambia tantissimo perché, man mano che il suolo si stratifica, cambia l’ossigeno e quindi la composizione vitale del suolo, cambia la sostanza organica. Questo quello che fa il bosco di per sé. L’agricoltura convenzionale ha selezionato 3-4 ceppi molto grossi, molto produttivi per quello che è il processo agronomico, tipo il tricoderma che si cita spesso, lactobacillo, e ogni anno li mette. Come per il lievito di birra: tutte le volte metto un cubetto nella farina, mentre la pasta madre me la porto avanti. Quindi in un caso compro un prodotto e lo metto, quindi ho un’iper concentrazione di tricoderma che stimola tantissimo l’humus e va ad aiutare la carica biologica della foglia quindi protegge un po’ dai funghi, però il mio ambiente non è strutturato per reggere una popolazione così strutturata di tricoderma perché non sono in un bosco ma in un orto e quindi il tricoderma muore nel giro di 15 giorni. Quindi ogni volta lo devo riinoculare alzando sempre questo livello batterico. Questa è una logica. Attualmente, per quello che vediamo adesso, non ci sono controindicazioni se non quella economica perché ogni anno ricompri tutto. Sul lungo periodo non si sa, anche quando si è iniziato a dire mettiamo un po’ di azoto nel terreno non c’erano controindicazioni, adesso vediamo una desertificazione continua. Sono sempre tante pratiche che diventano distruttive o costruttive. Un’altra logica, che è quella che usiamo noi, è quella di lavorare con i microrganismi vivi: andiamo a prendere la popolazione di questo luogo e la riproduciamo in toto, quindi tu rispetti le percentuali che il tuo sistema ha generato. Prima cosa bisogna osservare gli ambienti: chiaramente se prendo del compost sono sicuro di avere più varietà, un’alta biodiversità fungina, e per alcuni preparati, è la cosa migliore. Compost noi facciamo quello con letame fermentato più terra oppure quello con gli scarti di verdura nostri o con gli sfalci. Se vado a pescare lì sicuramente ho una situazione molto equilibrata e varia, però anche fare il compost non è così facile nel senso che ci sono 8 fasi all’interno del compost (batteriche, fungine): ideale sarebbe andare a prendere la settima fase, per esempio se prendo la paglia, la paglia è nera, quindi è già stata attaccata fortemente dai batteri, ma io riconosco ancora che è paglia, la prendo in mano e faccio così e si sbriciola: quella è la settima fase, quella in cui ho quasi tutto: ….. batteri, già qualche lombrico non ancora esploso, dove ci sono solo lombrichi ho un terreno molto stabile quindi aiuto le coltivazioni ma non stimolo il suolo. Se butto solo sostanza organica io stimolo invece solo il suolo e non le coltivazioni. Noi lavoriamo su 3 grandi tipi di compost: compost con carbonio molto labile, tipo la paglia, che ha un ciclo vitale di 1 anno; compost con lignina quindi si va a lavorare su 2-3 anni, il tempo che i batteri ci mettono a decomporlo: se metto questo compost sulle insalate loro non riescono a mangiarlo perché è un compost che lavora sulla forza vecchia del suolo perché serve per attivare l’auto fertilizzazione. Perché se io butto solo il compost pronto all’uso, per la coltivazione è perfetto, però tutti gli anni devo buttare. L’ideale è l’humus di lombrico perché ho il prodotto più digerito di tutti, super assimilabile dalle piante e quindi loro lo assimilano con facilità. Dipende dall’obiettivo.
Questa roba qua, dicevo, va a riprodurre in modo molto veloce, cioè 1 anno, quello che la natura fa in tanti anni. Quindi crea il cibo, lo demolisce, lo rende disponibile alle piante; la pianta muore e fa il giro. Quindi col compost velocizziamo. In più andiamo a predigerire tutta questa storia e quindi la pianta anche su un terreno difficile per l’orto, perché se facessimo nocciole o cereali non ci sarebbe problema naturalmente, se faccio vigna ci sono pochi problemi, se faccio orto ci sono tantissimi problemi perché non è un terreno da orto. La verdura che salta fuori è buonissima, perché il terreno è difficilissimo, quindi la pianta è iperstimolata, quindi la stimolazione della pianta porta fuori la qualità. Qualità per noi vuol dire vitamine, conservabilità, gusto, colore. Però dal punto di vista produttivo è veramente basso perché, mentre in un terreno sabbioso metto un piantino e dopo un mese raccolgo, ad es. l’insalata, io qua dopo un mese lei è ancora lì che cerca di capire come fare a radicare. Il problema qua è continuamente far entrare aria nel suolo, quindi se riesco con le radici col sistema che ho spiegato prima, sono a posto, sennò abbiamo il carbone, per es. o sennò devo forcare e devo farlo prima che la pianta inizi la fase di levata perché se lei inizia ad andare a levata, cioè a crescere, e non c’è sufficiente aria nel suolo, l’insalatina viene così. O la riempio di nitrati e di azoto o viene così anche se ho fatto compost e tutto perché il terreno, qua, tende a compattarsi. Invece le Langhe, il Roero invece sono famosissime per il vino perché questa caratteristica del terreno fa sì che la pianta sforzi in maniera tale che riesce a tirare fuori delle qualità, per es, nel Nebbiolo, che in altri posti fa solo della gran vegetazione perché la pianta fa quello; qua, invece, la vegetazione è ridotta, rispetto ad es al nord del Piemonte dove devono coltivarla a pergola, quindi, devono far sfogare molto di più perché non hanno il terreno pesante come il nostro. In questo caso la pianta viene un po’ più piccola, sempre molto potente rispetto al Dolcetto però più piccola, il vino va bene a maturazione e poi riesci, con l’invecchiamento, ad avere anche dei tannini apprezzabili.

La logica è sempre la stessa, che poi la applichi al terreno, alla pianta… cioè è sempre un organismo vivente che si deve adattare su un microcosmo. Le Langhe sono un microcosmo se guardo il pianeta e la stessa cosa se vado nel bosco a cercare delle zone più ombrose, delle zone dove c’è un ristagno idrico, sono microcosmi dove andrò a selezionare dei batteri con azione specifica, batteri autoctoni. Una volta selezionati, lì ci sono 2 grandi famiglie di lavoro: liquido o solido. Il solido si coltivano su crusca, con zucchero, oppure si coltivano su segatura, quindi, va ad avere dei piccoli inoculi, delle palline con tutta questa carica batterica, delle muffe che demoliscono la sostanza organica, tu le puoi inoculare nel compost che a sua volta, è come fare la pasta madre, vai a inoculare un compost più grande che sarà poi quello che andrai a mettere in campo. Dopo una trentina di passaggi ho un prodotto che posso anche mangiarlo, cioè ho selezionato, è come con la pasta madre: se ogni volta raddoppi – magari ci metti anche 2-3 anni- hai un prodotto che è terapeutico per la flora intestinale. Invece prima sono prodotti che si possono usare in campo, non ci sono problemi, ma non possono essere mangiati dall’uomo. La stessa cosa per i fertilizzanti liquidi. Se ad es. fate piante officinali in rapporto 1:5 con acqua e zucchero, le tenete sott’acqua, andrete a farvi, nel giro di un anno, una madre di un aceto e avrete degli aceto bacter liquidi che estraggono i principi delle piante officinali che avete messo quindi rosmarino, salvia, sono cose molto terapeutiche. Dopo 1 anno, 1 anno e mezzo potete berli, pochissimi però perché sono talmente depuranti che il rischio è che tutte le tossine si stacchino di colpo e vadano al fegato, quindi è pericoloso. Si bevono nell’ordine di 1 cucchiaino per litro per 15 gg poi si smette, ci sono delle cure. Nel giro di 1-2 mesi hai selezionato tutta una serie di micetti che sono promotori della crescita per i vegetali oppure vanno anche bene per la peronospora.

Il discorso di stamattina (io guardo le piante che ci sono, cerco di lasciarle stare il più possibile perché se il terreno le ha prodotte è perché gli servono in questo momento) sarebbe perfetto se tu non coltivi. Nel momento in cui vai a coltivare, per quanto entri in punta di piedi in un suolo, crei uno squilibrio, perché dovrò fare una rippatura, una fresatura, dovrò mettere i cavoli, i pomodori (che sono qua da 500 anni che per la natura non è niente), sono piante che creano un sacco di problemi perché non sono autoctone. I problemi più grossi con i pomodori è perché sono piante americane e tutte le piante americane si nutrono per buona parte con le radici sovra radicali. Quando andate nei paesi fluviali, tropicali, tutte le piante hanno le radici sovra radicali invece qua non ce le hanno, perché là riescono a nutrirsi con dei principi sopra la terra, qua non ci sono da noi queste cose. Quindi il problema della pianta del pomodoro è che lei continua a buttare radici sovra radicali, prova, poi non riesce, fa andare molta energia in questa cosa e questo fa sì che non ha più le difese immunitarie per difendersi da altre cose. Quindi rincalzando vai a risolvere questo problema. 500 anni sono veramente pochi. Quindi anche 1 pianta di pomodori se vado a inserirla in questo sistema crea disequilibrio. L’agricoltura naturale deve creare un equilibrio naturale o cercare di ripristinare il più velocemente possibile un equilibrio naturale. Ci sono questi mezzi tecnici che non sono concimi o veleni, ma degli induttori di resistenza che possono essere verticali, quando vado ad aiutare una pianta a resistere a una malattia, o orizzontali, quando innalzo tutto il sistema a resistere a una malattia. La carica batterica funziona così: tu vai a ripristinare continuamente un ambiente che tu stesso hai rotto per aver fatto una pratica agricola. Adesso ci sono quelle file di zucche che staranno 1-2 giorni al sole così perché andranno rincalzate. In questa fase vuol dire che tutta la carica batterica che c’era morirà per i primi 2 cm, poi il terreno crea una crosta. Se ho un terreno molto ricco in carica batterica non c’è problema, alla prima pioggia si ripristina tutto; se ho un terreno scarso perché tende alla mineralizzazione, quindi, sta diventando un deserto, agronomicamente sotto l’1% di sostanza organica è deserto, la media italiana è 1,1-1,2% a livello agronomico, vuol dire che se non metto concime non cresce più niente. Devi rinvertire questo processo. Cos’è che salinizza? La natura salinizza, il ristagno idrico, la solarizzazione e i concimi, perché sono sali. Invece tutto quello che è concime vegetale, quindi compost, letame, porta sempre una carica batterica. A volte non è sufficiente perché se io guardassi, il biologico dice 35 quintali a ettaro di concimazione di letame, quindi questi concentrati micorrizici sono iper concentrati di micorrize. Devi immaginare che, come metto 10 g di lievito in 10 kg di farina e tutto l’impasto lievita se ci sono le condizioni giuste, che sono caldo umido e zucchero, la stessa cosa succede nell’orto. Se inoculo qua e là, con una certa costanza, questi lieviti quando c’è una pioggia, un’irrigazione, per quello si mette lo zucchero, perché c’è un cibo a disposizione con cui possono partire, loro nel giro di 1-2 anni si colonizzano, chiaramente devo pacciamare, e stanno lì. Quindi in pratica si possono coltivare in acqua, in modo aerobico, quindi bisogna mescolare frequentemente, questi qua sono pronti in 72 ore normalmente, 2-3 giorni al massimo, altri hanno una fermentazione molto lunga, si può aggiungere siero di latte, cenere, per dare una componente minerale, si fanno fermentare anche fino a 3 mesi, 6 mesi e poi magari hai dei batteri che lavorano in assenza di ossigeno e quindi penetrano negli strati profondi del terreno. La cosa bella di queste cose è che sono esattamente l’opposto rispetto a quello che è normalmente quando vado a spruzzare, perché qualunque cosa spruzzo sappiamo che devo beccare la pianta e quello che va a terra è un problema per il suolo. Se non c’è vento, se l’atomizzatore è tarato, normalmente il 75% va a terra. Qui è l’opposto: tutta quello che va sulla pianta nutre la pianta, tutto quello che va per terra ben venga perché nutre il suolo perché sono fatti in modo tale che hanno sempre una componente batterica che riesce a lavorare sia sulla foglia che sui primi strati di suolo. Nel caso degli anaerobici, che lavori col siero di latte, lievito, quindi fermentazioni più forti, hai bisogno di inocularli, invece, in periodi di forte pioggia, perché sfruttando la caduta dell’acqua li porti giù con una via preferenziale, oppure irrighi per almeno mezz’ora. Di per sé è semplice, li metti in acqua, metti dello zucchero, giri, giri, giri, ci sono delle proporzioni da rispettare, se vuoi farli anaerobici; se vuoi farli aerobici, invece, devi chiudere, avere un gorgogliatore perché puoi fare anche metano, quindi far uscire il gas in eccesso e hai poi questa melassa densa che vai a sciogliere e sono molto efficaci. Uno dei più semplici è il compost Tea: ci sono un sacco di studi che spiega come si va ad aumentare di un 40% le fioriture. Il compost Tea è fighissimo, lavori solo sugli strati superficiali del suolo, quindi se hai un terreno molto sciolto, ben drenato, non hai problemi e in fioritura va alla grande, se hai situazioni più problematiche, il compost Tea non è più sufficiente. Considerando che in agricoltura non abbiamo mai tempo rapporto lavoro/ efficacia il compost Tea è uno dei migliori.

Se è una cosa così buona ed efficace perché non la usano tutti?

Secondo me è un problema di abitudine, le persone sono molto abituate a fare le stesse cose, il tempo veramente non ne hai quindi tu ti devi sforzare di fare questa cosa anche se è solo un’ora all’anno; secondo me è questo alla fine della fiera. Come anche i preparati biodinamici che sono super efficaci perché sono stati studiati negli anni, ci sono prove su prove, c’è il problema che bisogna dinamizzare un’ora ed è una cosa, questa, che li manda in pappa completamente e sono cose che spruzzi 3-4 volte all’anno, ci sono anche le macchine che te lo dinamizzano.
 Il problema di queste cose qua è che se tu hai i pidocchi passi e li ammazzi, dopo 10 minuti torni li trovi morti e dici bene, benissimo; se tu invece spruzzi il corno letame per tre anni non vedi niente, a meno che o hai un occhio di osservazione del suolo molto preciso, molto allenato, però mi rendo conto che la maggior parte degli agricoltori, sapete che magari gli arriva il messaggino “pericolo peronospora trattare”, tu hai tutto il reddito annuale su una coltura, ti han detto che c’è la peronospora, te l’ha detto un tecnico certificato che ha tanto di curriculum e tu tratti, perché la paura diventa tanta. Magari però quei rilievi li hanno campionati su un centro sperimentale ad Asti, che è rimbalzato ad Alba e che è rimbalzato sul tuo cellulare, quindi può essere che nella tua vigna per la peronospora non ci siano le condizioni. Dopo 2-3 generazioni di questa roba non c’è più capacità di osservazione, quindi le persone si fidano di quello che arriva dal cellulare. Nel momento in cui inizi a trattare, poi devi trattare per forza. Se uso un sistemico, perché ha una logica antibiotica, per cui se non c’è un certo livello nella linfa non funziona come l’antibiotico nostro, ma anche se non usi un sistemico perché a un certo punto la pianta si abitua a ricevere il trattamento, e quindi nel momento in cui non c’è se la becca. Ci sono delle piante su cui il trattamento non serve, ci sono delle piante su cui è stato talmente selezionato o c’è talmente tanto problema o c’è talmente tanta monocoltura per cui alla fine devi trattare lo stesso, magari di meno. Ecco, una cosa che tutti noi abbiamo avuto la fortuna di vivere bene, o la sfortuna, non lo so, sono le nocciole. Dove noi da piccoli andavamo a raccoglierle a mano e non c’era nient’altro da fare, adesso fanno 10 trattamenti mi sembra, e tutti gli anni ne aggiungono 1-2 e tengono dei bollettini tecnici su una pianta che, se vai nel bosco, e iper autoctona, perché è così, se tu spingi spingi spingi l’acceleratore, spingi in concimazione perché è tutto quanti chili per ettaro saltano fuori da quella storia lì. Non è che io vengo pagato per quante vitamine ci sono nel pomodoro, vengo pagato per quante cassette tiro fuori. Poi io vado al mercato, racconto per 15 ore che il mio pomodoro è megagalattico e allora dicono “sì, ma il prezzo del pomodoro è 3 € al chilo”, io posso chiedergliene 3,70 €, non di più perché loro hanno in testa 3 € adesso, poi avranno 90 centesimi ad agosto. Se gli chiedo 10 centesimi in più accettano perché gliel’ho raccontata per due ore, sennò no, o ci va veramente una comunità di supporto. Perché sono due pomodori diversi: uno è un pomodoro che tu arrivi a casa, lo mangi e il tuo corpo fa andare più energia di quello che ti dà il pomodoro, che è un po’ di acqua sporca (se ti va bene), nell’altro invece è un nutriente. Però essendo che gli effetti li vedrai a 70 anni, quando avrai qualche disturbo qua e là, nessuno lo collegherà mai a quel pomodoro che hai mangiato. Il corno letame, questi preparati qua vanno ad avere un effetto sul medio lungo periodo; alcuni nella non lo vedi già però devi avere l’occhio, devi capirlo, per esempio adesso è molto arido però delle volte tiro su delle piante con questo apparato radicale, vedi, quello lì è l’effetto delle micorrize, vedi come la terra è strutturata in aggregati -l’aggregato è il lavoro dei batteri- è sta attaccato alla radice, vuol dire che i batteri hanno lavorato ed è partita la simbiosi. Se succede quella roba lì, vuol dire che la mia pianta ha un buon cervello perché la radice è il cervello della pianta, se il cervello è buono la mia pianta saprà rispondere agli stimoli, buoni e cattivi, senza problemi perché il pomodoro e la peronospora o la cimice e il nocciolo sono nati insieme e sono evoluti insieme, quindi il pomodoro ha 1000 modi per difendersi da quella malattia; il problema è che non ce la fa perché è stata selezionata per produrre tanto. Questo ce lo insegna la vigna, tutti quanti qua, quando inizia l’invaiatura (l’invaiatura è quando cambia il colore), ci possono essere tutte le condizioni, 10 10 10 la regola agronomica per la peronospora, tutto quello che vuoi, ma sul grappolo tu non la prendi più la malattia, la prendete sulle foglioline in alto, allora vai a trattare sul cordone. Questo vuol dire che la pianta sa benissimo come difendersi, perché se le condizioni prima c’erano, potevo prenderla sul grappolo, quando inizia l’invaiatura sul grappolo non va più, vuol dire che lei sa come fare, il problema è che non ce la fa. Perché non ce la fa? I motivi sono diversi: la selezione clonale, la spinta, l’allevamento intensivo… Questa qua è una cosa che ci tengo a dire, fa parte dei miei studi antropologici, è una delle cose che mi ha fatto scegliere di fare questo lavoro qua: l’agricoltura, l’allevamento nasce nella mezzaluna fertile come una questione culturale ed era l’arte più sacra di tutte. Nelle scuole sacerdotali, quindi il cuore della conoscenza, venivano selezionati i migliori tra le arti, quindi l’arte musicale, l’arte dello scriba, l’arte pedagogica, l’arte medica, l’architettura ecc. si faceva una classe speciale di sacerdoti extra in cui veniva insegnata l’agricoltura. Quello che leggete sui libri di storia delle elementari che i contadini sono venuti su come schiavi è una minchiata megagalattica che se voi andate a studiare la storia veramente, è sempre stato il contrario. Questo è un problema perché nel momento in cui contadini capiscono che non è vero e fanno una roba del genere salta tutto il sistema, naturalmente. L’azienda agricola è l’unica che genera soltanto output, può benissimo creare tutti gli input perché un’azienda primaria, quindi lavora direttamente. L’arte dell’allevamento, lo dice la parola stessa, “al” vuol dire Dio, “levare” vuol dire portare in alto, la scienza agronomica nasce per creare un rapporto spirituale tra la pianta e Dio, quindi l’uomo aveva il compito, come offerta della classe sacerdotale, di aiutare la pianta a elevarsi, così come l’animale. Quindi l’addomesticamento è una parola etimologicamente bellissima, non vuol dire schiavitù, tutt’altro, e tutte le piante che conosciamo oggi nascono da questo addomesticamento che noi non sappiamo assolutamente fare, tant’è che non ci crediamo. Noi non sappiamo come partire da un selvatico e fare un domestico, noi possiamo fare degli innesti, dei cloni, delle margotte, delle talee, ma mettiamo sempre due piante insieme. Se invece tu guardi nella storia della botanica, la scienza dice che a un certo punto è saltata fuori una varietà -antropologicamente, però, non è così. Noi vediamo che nella mezzaluna fertile dalla rosa canina sono saltate fuori la prugna, la ciliegia, l’albicocco, la mela, la pera ecc., sono tutte piante derivate dalla rosa canina secondo questo processo di addomesticamento. Questa qua è una cosa bellissima perché, a mio avviso, va a inserire l’uomo nel contesto naturale in un ruolo di un equilibrio stratosferico, dove è figlio della natura stessa, quindi deve sottostare alle leggi della madre perché sennò, come tutti i bambini, viene sculacciato, ma allo stesso tempo ha un ruolo di sostegno, di trascendenza ed evolutivo importantissimo. Loro ci dicevano guardate che la natura, da sola, non riesce a evolvere oltre un certo limite, cosa che la nostra filosofia moderna, per esempio, non spiega e questo è un punto di forte crisi, sembra un concetto astratto, ma in pratica vuol dire che noi siamo divisi in due grandi categorie: quelli che si possono permettere di fare quello che vogliono con la natura -di buttare giù delle bombe e tirare via petrolio da qualunque parte perché lo pagano – e quelli che invece non vogliono fare assolutamente niente perché noi siamo dei parassiti. Entrambe vie che scegliamo, non andiamo da nessuna parte, perché in un caso l’uomo ha un’azione solo predatoria, nell’altro caso non vuole fare niente e la natura non si può rinnovare senza l’uomo, fa molta fatica a rinnovarsi. Tutte le piante che fanno frutti nascono da una simbiosi con gli uomini, lei da sola non ce la fa a farlo; se vai nel bosco, al massimo, trovi qualche corbezzolino. Questa è una cosa che fino al Rinascimento, tutti gli ordini dei monastici, quelli che avevano questo tipo di conoscenza, avevano ben a mente e tutte le selezioni che venivano fatte, tutti gli interventi agronomici che venivano fatti avevano questo unico scopo di percepire la pianta dove voleva andare, se voleva fare un fiore o una radice o un frutto eccetera, e sostenerla in questo processo.

Quindi la rosa canina non sarebbe diventata prugna senza l’uomo?

Esatto. Questi, purtroppo, sono discorsi che se io li faccio agli agronomi mi ridono in faccia e se ne vanno. E hanno anche ragione perché la nostra logica moderna non gli permette di avere questa visione. Io ho avuto la fortuna che sono un antropologo, poi mi sono approcciato all’agricoltura e quindi ho studiato tutte queste storie qua, la mitologia eccetera eccetera e poi dopo, con la conoscenza mitologica dici allora se c’era il ….  allora si fa quello perché nella conoscenza mitologica, o monastica, loro andavano a spiegare quello che avevano visto. Se la divinità faceva così, faceva cosà non è che se le inventavano, c’era una percezione. Il ruolo dell’uomo nella storia dell’agronomia è fondamentale quindi anche per il discorso di andare a spruzzare le micorrize, secondo me è una possibilità che abbiamo perché andiamo a fertilizzare suoli -e in questo momento storico è molto importante perché la madre è ammalata e va curata velocemente- ma è anche proprio il nostro ruolo, è anche un dovere dell’umanità nella natura. Siamo assolutamente indispensabili; nel momento in cui l’equilibrio salta è un casino. Tanti dicono “la vita senza gli uomini starebbe benissimo”, non so, perché se studi la pianta è un sistema ritmico precisissimo, non ha alterazioni, si altera quando entra nel mondo della luce, che non è il suo mondo, è il mondo animale, siamo noi, è l’uomo l’animale che ha imparato a gestire l’aria di un polmone: noi possiamo trattenere l’aria. Gli antichi dicevano “cosa vuol dire ruolo dell’aria”? Vuol dire semplicemente che puoi trattenere il fiato. Questa semplicissima cosa è frutto di anni di evoluzione perché la vita è riuscita a evolvere in modo tale che tu puoi trattenere il fiato, vuol dire che hai sviluppato un organo in cui tu sei dipendente dall’aria ma hai un tuo sistema autonomo che può fare un po’ quello che vuole. La pianta non può farlo, se adesso viene una gelata, tanti saluti. Però lei può sondare benissimo il suolo cosa che io non posso fare: io posso costruire un microscopio megagalattico ma del suolo non capirò mai una cippa perché se prendo una molecola di humus, e la codifico su un computer, che è lunga 5 pagine nel momento che l’ho studiata lei è già cambiata perché è in continua evoluzione. La pianta, quando entra nel mondo dell’aria, col fiore, inizia a morire. In agronomia si dice che tutti i processi metabolici vengono convertiti in catabolici. In pratica loro non riescono a sostenere il mondo della luce, dell’aria, la luce che agisce su di lei dall’esterno, nel momento che entra, muore con la fioritura e in base al fiore, se leggi i testi più vecchi, lo spiegavano con l’allegoria, con la fantasia, loro ti dicevano anche che frequenza di luce andava a pescare e a cosa serviva quella frequenza: per le malattie, per questo e quell’altro. Quello che mi fa più rabbia di tutto è che noi stiamo dimenticando tutto questo e in più, quando lo leggiamo, diciamo che è una cazzata. Dalla mezzaluna fertile a oggi ci sono circa 10.000 anni di osservazioni della natura, dove, fino al 1940, ci hanno lasciato dei suoli bellissimi. Invece adesso, negli ultimi 50 anni, con tutto quello che sappiamo, il risultato lo vediamo. Dovremmo essere un pochino più umili, secondo me, e dire: ok, loro hanno osservato tutta questa roba e sono stati molto bravi, noi adesso con qualche microscopio, con qualche trattore possiamo migliorare, fare del nostro, capisco che quelli che vado a prendere nel bosco non sono fate, non sono elfi, ma sono batteri, se li coltivo con lo zucchero ne produco 100 miliardi, se li coltivo con la patata 500.000 miliardi, quindi posso fare queste cose. Mi piacerebbe molto spendermi su sta roba.

Nonostante la situazione sia tragica, se ci guardiamo intorno vediamo tutto coltivato secondo determinati criteri. Cosa vedi possibile?

Possibile su larga scala, prima cosa bisogna creare agroecosistema, sempre. Anche se tu dici “io voglio fare solo nocciole”, che nel mio modo di pensare è inaccettabile però capisco che si faccia così, allora devi studiare un sistema ecologico che alla fine dell’anno ti abbia portato la nocciola. Quindi devi studiare dei sistemi di siepe, un sistema di sotto fila, devi studiare degli impollinatori ogni tanto, delle piccole aree di incubazione, tipo questo spazio qua sono circa 50 m quadri – come vedete, nell’orto, ce ne sono più di uno: questo qua è un incubatore di biodiversità megagalattico, di qua partono un sacco di insetti.

Poiché nei fatti non sta avvenendo…

Basterebbe che tu dici. Vuoi fare nocciole? va bene. Ogni ettaro lascio 50 m di incolto con quello che viene: pianto due canne, lascio due mele. Se tu ogni 10.000 m quadri lasci 50 m hai già creato un ponte per un sacco di roba. Sarebbe una cosa semplicissima. Oppure dici: ci sarà una pianta che va a fare una copertura del suolo, perché è un campo del genere succede che la prima volta che piove, dilava tutto, di sicuro ci sarà una pianta che va a sostenere il nocciolo, io non lo so basta che vai nel bosco e osservi, le prove di laboratorio le fai dopo, prima vai nel bosco e guardi dove nasce il nocciolo, dove è messo, se ci sono altre piante vicino, poi dopo dopo dopo vai in laboratorio. Invece noi facciamo sempre il contrario: il bosco non lo vediamo come maestro.

Ci fosse un’azienda qua un’azienda dall’altra parte della collina, per la biodiversità cambia già tutto-è la qualità non la quantità. Secondo me il cambio grosso sarebbe ridare la possibilità al contadino di essere il custode del territorio. Mio nonno, ricordo, quando pioveva si metteva un sacco in testa e andava a fare il fosso e quella è un’azione di custodia, girava col falcetto attaccato alle braghe e tagliando una pianta di qui e di là la strada era sempre aperta. Quella è un’azione fondamentale che dovrebbe essere riconosciuta. Con l’agricoltura classica andiamo a non calcolare nel prezzo tutta una serie di danni che poi qualcuno deve pagare, e siamo noi cittadini naturalmente, quindi nel prezzo dell’agricoltura ci dovrebbe essere la custodia del fosso, lasciare delle piante selvatiche per gli uccellini perché quelli sarebbero i benefici che avrebbero tutti i cittadini. Quello secondo me è fondamentale perché c’è una parte di lavoro privato e una parte di lavoro pubblico. Se il contadino e custode di un suolo. Per quello le parole sono importanti, nel concetto di una volta c’era la madre terra: per noi, oggi, è solo una forma un po’ poetica e basta, per loro era vero. Oggi per noi c’è un substrato di coltivazione: questo vuol dire che se domani ci sarà l’idroponica, è un substrato di coltivazione come un altro, quello che costa meno, lo allunghiamo e via. Quello è un problema enorme perché vai a snaturare completamente una roba. Le piante sono in grado di vivere in idroponica -la ninfea vive in idroponica-io posso stimolare una pianta ad andare in idroponica, perché se lo fa la ninfea potrà farlo anche il pomodoro, geneticamente ce l’ha dentro, ma ingannarle porta sempre un disastro. Lo vediamo già nei concimi adesso. Quando dai il concime la gente pensa: la mia pianta ha mangiato bene. Assolutamente non è vero. Il concime ha due effetti, uno è sul suolo, rompe i complessi argillo unici stabili e libera i nutrienti, quindi tutta la parte del suolo che la natura avrebbe pensato di dare in 3-4-5 anni perché tanto poi cade la foglia, passa l’uccellino ecc. ecc. mi ridà sostanza organica, lo libera immediatamente quindi io butto il concime, ho l’effetto del concime più quello. Man mano che rompo questa griglia, il terreno non è più in grado di tenere nutrienti e quindi cosa vuol dire: il primo anno butto 2 manciate, il secondo butto 3 manciate… arrivo dopo 50 anni che devo buttare 3-4 sacchi sennò non faccio niente. Seconda cosa: io preparo il suolo, metto azoto, fosforo, potassio in percentuali variabili in base a quello che serve per la mia coltivazione per il ciclo produttivo. La pianta è un essere vivente, intelligentissimo, intelligenza che per noi esseri umani è aliena perché la pianta è un essere vivente che dice: non riesco a vedere cosa mi sta succedendo dietro alla schiena, non c’è problema, mi faccio un occhio qua e guardo. Loro ragionano in questo modo qua. Hanno una capacità di plasmare il proprio corpo alieno, appunto, per noi umani. Come tutti gli esseri intelligenti ha una crescita biologica e durante ogni fase della crescita ha un’azione diversa quindi noi sappiamo che il fosforo in radicamento, in fioritura, il potassio in maturazione dei frutti, l’azoto sulla foglia. Io metto una soluzione circolante di sali nell’acqua e sciolgo con la pioggia o con l’irrigazione. La pianta mangia dopodiché beve la soluzione circolante fatta di azoto, fosforo, potassio che ho scelto io. Nella prima fase alla pianta serve azoto, quindi prende azoto, ma anche un po’ di fosforo e potassio, perché non può farne a meno, sono nell’acqua, e dice: fosforo e potassio li stocco perché poi mi servirà quando sono in fioritura e in maturazione, adesso bevo di nuovo così prendo ancora azoto e prende gli altri due e così va avanti finché a un certo punto dice: ho un po’ troppo fosforo e potassio però mi serve ancora l’azoto perché devo ancora fare foglia, cosa facciamo allora? devo scioglierne un po’, non c’è problema, bevo e sciolgo, perché nella sua logica c’è questo. Lei beve continua a mangiare tutto il pacchetto e quindi arriva un certo punto che quando mangia mangia quando beve mangia, va in un circolo vizioso in cui la cellula quadruplica nel giro di un paio di settimane dove va a essere una pianta malata di ritenzione idrica, completamente sfatta, che non ce la fa più, sta cercando di uscire da un circolo vizioso malato ma non può uscire perché io ho messo il concime nell’acqua. Quindi io mangio piante che sono completamente malate. In più, le pareti cellulari sono estremamente dilatate per cui funghi e batteri entrano con estrema facilità e gli insetti mangiano con estrema facilità, quindi devo continuamente sostenerle col veleno. Abbiamo così poca capacità di osservazione che pensiamo che il concime sia un buon cibo perché vediamo che la nostra pianta butta butta butta. Voi vedete una persona che da tre anni lavora di notte e di giorno, dopo 10 anni la rivedi sembra uno zombie vivente. E lì è la stessa cosa, noi facciamo fare questa cosa qui alla pianta.

L’agroecologia, in realtà, è un termine sociale. Va a riprendere il sistema economico, sociale, di trasformazione, logistico. E’ una presa di carico di responsabilità, praticamente. Nella società classica siamo abituati a delegare la responsabilità, l’agroecologia parte dal presupposto di prendersi la responsabilità per qualcosa e farla al meglio che posso. Vuol dire capire dove vado a comprare il prodotto, il materiale, il concime, dove a prendere il letame, i piantini, è tutto un sistema dove tu acquisisci responsabilità e questo, per assurdo, è un paradosso, ma ti rende libero perché è lì che vai ad esprimere la libertà di te stesso, prendendo la responsabilità di chi sei. E’ la base dell’agroecologia. E’ lo stesso discorso che dicevo prima, in campo, del patrimonio genetico che viene stimolato dall’ambiente. E’ lo stesso discorso di un caso visto da dal punto di vista umano o dal punto di vista vegetale o animale. Questa è la base dell’agroecologia, è lì l’approccio rivoluzionario, invece nell’altro sistema siamo abituati a standardizzare, omologare.

Il mondo del vino, secondo me, di questi tempi è perfetto per portare avanti questi termini, perché è un mercato a parte che va quasi a sfiorare l’arte e quindi la valutazione del prezzo di una cosa è fatta da tutti altri meccanismi che quelli agricoli. E questo è un punto di vantaggio molto forte ed è giusto che sia così, secondo me, è bello che sia un mercato del genere e che si porti dietro la coltura storica di una pianta. Per i Greci il vino era la sapienza stessa che scendeva in terra; per i cristiani era il sangue di Cristo: sono concetti filosofici su cui sono radicati miliardi di storie. Noi possiamo essere atei ma quello che ci gira intorno è improntato su questi concetti qua, anche se non ce ne rendiamo conto. Dietro al vino c’è una storia incredibile, su tutto il processo di vinificazione, anche. Il mercato del vino è difficile, però il cliente finale si interroga molto e vuole sapere perché una bottiglia di Barbera lo trovi a 4€ o a 20€, perché una bottiglia di Nebbiolo, di Barolo la trovo all’autogrill a 8.90€, a volte, e l’altro me lo vende a 300€. Tu devi riuscire ad argomentare il prezzo, c’è gente che se ne intende. L’attenzione è sempre incentrata sul produttore, sulla tecnica e sul vitigno ma quello che c’è dietro sta diventando importante. Il vino naturale sta prendendo molto piede, è sempre una micro-percentuale ma è significativa, perché mette in discussione un sacco di cose, il concetto di terroir, quello del disciplinare. Il concetto di disciplinare, che una volta era: devi avere questo standard perché voglio avere il bollino, faccio qualunque cosa per avere il bollino, quindi un decadimento di questo concetto di protezione, adesso si sta riprendendo bene. Cos’è il terroir? Il terroir è solo perché sono qui nelle Langhe, perché sono nella zona dei bollini o perché c’è anche altro? L’aspetto batterico è importante, le essenze che ci sono per terra, l’aspetto erbaceo, le consociazioni, questo sta stimolando molto. Il sistema di vinificazione: noi per esempio non usiamo lieviti, usiamo solo i lieviti indigeni. Tu hai già tutta una serie di clienti che cerca quello e poi hai persone a cui cominci a parlare dei lieviti indigeni. Una cosa che noto spesso, e che mi ha sempre incuriosito, è che tutte le ricette che trovo, di fermentati, arrivano fino al lievito, cioè lievito e fermenti tutto per scontato, non c’è mai nessuno che ti spiega da dove arrivano questi lieviti. Io la pasta madre me la faccio tutti gli anni da solo, la rinnovo sempre, vado a prendermi i lieviti in natura e mi faccio il lievito per la pasta madre così come per il vino. Siamo abituati che i lieviti si comprano, come arrivano in natura è un mistero, se cerchi nella storia della botanica ti dicono “han lasciato lì a marcire dell’orzo e hanno fatto la birra”. Io non ci credo assolutamente, loro avevano un occhio, perché lì era il sacro massimo, il punto in cui l’invisibile diventava tangibile, era il cuore della dottrina spirituale di qualunque cultura, compresa la nostra. Difatti noi mangiamo il pane, e il vino tutte le domeniche, per chi va a Messa, e tutte le culture del mondo hanno una fermentazione sacra o un cereale sacro perché lì non è che semplicemente non erano tutte culture deterministe opportuniste come la nostra che se non c’era il pane, ah allora moriamo di fame e allora è diventato sacro. No, non è così perché hanno salvato la pianta, il grano è una pianta che sale, porta il figlio in alto, c’è solo lei che fa questo, tutte le altre vanno un po’ su, poi va giù e fanno il seme. Invece lui va su, sempre su, tende al sole, è una pianta solare. La vigna, invece, è una pianta completamente terrestre, lei scorre per terra, non riesce assolutamente a salire. Ma nel suo scorrere per terra riesce a creare una morula – che tra l’altro il grappolo è una morula, che per gli antichi era molto importante perché è la struttura primaria della cellula, difatti il succo d’uva fa molto bene alla cellula; per questo era il sangue di Cristo, riusciva a estrarre questo sangue nonostante fosse una pianta strisciante, quindi soggetta alla forza di gravità, è una pianta della madre, è la pianta di Bacco, una pianta molto istintiva. Secondo me il vino ha questa capacità molto forte.

Come hai assimilato l’arrivo della filossera? In queste terre non si sa nemmeno bene quando è arrivata.

Le prime ondate grosse sono fine ‘800 inizio ‘900.

Parlando con qualcuno qua della zona mi ha detto che è arrivata intorno al 1920-30.

La nostra vigna è del 1952, l’ho fatta analizzare da un po’ di vivai e non sono sicurissimi perché sono annate dove potrebbero essere dei piantini vecchi e quindi potrebbero essere pre filossera oppure potrebbero già essere nuovi.

Mi chiedevo se hai una spiegazione per quell’arrivo di filossera, parlando di Europa, non di Italia o di Langa.

Alcune teorie più drastiche dicono che era venuto il tempo per la trasformazione di quella pianta. La malattia di una pianta è sempre dovuta al fatto che la natura vede una pianta malata per cui la vuole far fuori. Il fungo ha due visioni: uno è il fungo che da sottoterra sale, passa fuori, per varie condizioni climatiche, quindi tu lo devi “riportare giù”: vuol dire che le condizioni del fungo che sottoterra sono buone, sono salite per qualche motivo, perché ha piovuto ecc, per cui il fungo riesce a radicarsi sulle piante. Nel momento che le condizioni tornano giù anche il fungo torna giù. Esattamente come quando i batteri nello stomaco vanno bene, salgono in gola è un casino. Dall’altro punto di vista è la natura che vuole stimolare una pianta ad evolvere o abbatterla perché la vede malata. Quando arriva un problema grosso come la filossera, dal punto di vista genetico alcuni avevano anche il dubbio che fosse arrivata alla fine quella pianta lì, come non fosse più interessante per la natura, per l’ecosistema europeo. C’è stato un grosso intervento da parte dell’uomo. In America è successo l’opposto: qua la filossera mangia la radice europea e non mangia la foglia europea, mentre in America è il contrario quindi si innestano con piede americano e pianta europea. Questo è stato uno scambio botanico fortissimo che va a lavorare tantissimo a livello botanico sulla pianta perché le piante hanno una evoluzione di specie, non hanno un’evoluzione individuale. Mentre noi, se lei impara l’inglese, non è detto che lo imparo anch’io, perché abbiamo un’evoluzione individuale, se una pianta impara una cosa, tutta la specie, nel giro di pochissimo, la sa fare. Gli animali hanno un’evoluzione per famiglia: se un branco di leoni impara una cosa, se un leone o tutto il branco la impara, prima che la impari tutta la specie ci vuole più tempo, invece la pianta funziona così, in modo immediato, quindi il discorso è più complesso: se dall’altra parte del mondo fanno un esperimento di ogm sul mais, anche il mais che c’è nel mio campo vibra un po’ strano, non è che devo aspettare che arriva il polline come ce lo spiegano loro, questa è scienza. Allo stesso tempo, però, se noi facciamo del mai sottofile con le micorrize, anche l’ogm di là ha un po’ di problemi. Ci sono molte ricerche in questo campo, soprattutto in centri di botanica come l’Università di Pisa. Tutte queste cose le troviamo nei testi antichi, ma ovviamente non sono scientifici, e non ci sono ancora tecniche, ma solo osservazioni. La fisica attuale fa un po’ fatica a esprimere questi concetti. Difatti c’è molto stupore su questa storia però effettivamente è stato verificato da più scienziati. Quindi quando si va a lavorare su questo discorso della filossera c’è stata una connessione fortissima tra questi due continenti; a livello botanico penso sia la più forte soprattutto su una pianta sacra, cioè tutte le piante sacre di qualunque coltura – il mais, il fico, la vite, l’ulivo – sono tutte piante che hanno un portamento molto particolare. Sono piante che sono state messe nel Pantheon per un qualche motivo molto particolare quindi queste cose qua aprono dei capitoli molto grossi però è molto interessante. Se vai a vedere i portamenti di una pianta erbacea e i portamenti delle varie piante sacre, per esempio, vedi che hanno una caratteristica che ti fanno immaginare una fortissima medicina che potrebbe essere la medicina fisica, animica o quello che. La piantaggine è una pianta con cui fai di tutto: punture di insetto, antistaminico, ti tagli, te la metti sopra, cicatrizza in 3 secondi. Fa un pennacchietto verde. Noi facciamo dei macerati, la usiamo come protezione magnetica dei campi a bassa frequenza: quando ci sono elettrodotti che passano nei campi ecc. e vedi delle disfunzioni, facendo dei macerati di questa riesci a riequilibrare il sistema. La pianta emana per una volta e mezza la sua altezza un campo morfologico sempre, quindi porta un’informazione, che noi siamo molto insensibili e non capiamo niente, ma per le altre piante invece è un’informazione importantissima. Per es. il pero selvatico è una pianta di supporto a tutte le altre piante, quando ci sono piante in difficoltà gli metti un pero selvatico vicino e le altre piante partono. O se metti le rose che portano principi di trasformazione molto forti nel sistema. Queste cose qua è bello perché gli scienziati le stanno studiando, World Wide Web, loro lavorano molto sui segnali biochimici ed elettrici; io invece vado a studiare i giardini monastici, reali (più intonsi possibili) e trovi già tutto perché una volta queste cose qua le sapevano molto bene e le sapevano così bene che mettevano tutte le piante nel punto giusto in base alla morfologia. Osservavano morfologia e sostanza, prendevano un sacco di informazioni. Quelli molto bravi riuscivano a trovare i principi attivi semplicemente osservando una pianta. Le avevano studiate talmente bene che riuscivano già a mettere le piante in sinergia.

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