Agricoltura organica e rigenerativa. Oltre il biologico: le idee, gli strumenti e le tecniche per un’agricoltura di qualità. Seminario in video conferenza con Isabella Dalla Ragione

video conferenza programmata per il 28 luglio ore 14.30

Definita un’archeologa della piante, ha dato vita al progetto «Archeologia Arborea», salvando antiche varietà di frutti: «Coltivare gli alberi giusti, significa proteggere il futuro»

Le mele di Tolstoj. Le ciliegie (acide) di Cechov. Le fragole di Dostoevskij. E una donna, Isabella Dalla Ragione, che a dispetto della faccia birichina, starebbe benissimo con la frusta e il cappellaccio di Harrison Ford. L’Indiana Jones dei frutti scomparsi da molti anni viaggia tra Russia e Giordania, Vietnam e Palestina. Missione: ritrovare le varietà date per estinte, ridare loro vita – che significa rimetterle in produzione – non per ansia filologica, ma per proteggere il futuro dell’umanità.

Isabella è un’archeologa arborea, passione ereditata e a lungo condivisa con il padre Livio, professore di Botanica e Storia popolare molto amato nella sua Umbria. Tosta, colta, appassionata, ma poco “utilizzata” al di là dei riconoscimenti importanti come il Premio Nonino, porta avanti la fondazione con annesso centro di ricerca e un archeo-frutteto nella campagna di Città di Castello, dove  ritrovare gli stessi frutti dipinti nei più bei quadri rinascimentali di cui avete memoria. Per fortuna di Isabella, cervello e cesoie in fuga dall’Italia, esiste una sensibilità non dispersa tra le rive del Volga e le colline di Tula. È lei stessa a raccontarlo, con un sorriso agrodolce.

«Mi hanno cercato poco dopo il mio dottorato per dare forma e senso a ciò che restava dei frutteti illustri di un tempo. Le produzioni agricole in Russia erano appannaggio degli aristocratici, allo stesso tempo proprietari della terra e dei contadini che la lavoravano. I grandi scrittori erano  quasi sempre nobili e ricchissimi. Si facevano mandare i cataloghi dei vivai, la biodiversità era fantastica. Nei testi si contano quaranta qualità di fragole diverse. Oggi dobbiamo accontentarci di una manciata risicata di ibridi…. La parola sad  declinava sia il giardino che il frutteto, considerati simbolo di prosperità. Ha presente Il giardino dei ciliegi? In russo si chiama Viscnavisad, il giardino delle ciliegie acide. Quelle dolci in Russia non crescono, non fa abbastanza caldo e non abbastanza a lungo».

Il frutteto di Tolstoj non ha avuto vita facile. Lo scrittore scomparve nel 1910 e la figlia chiese invano allo zar Nicola II di costituire un museo. A farlo, nel 1921, dopo la rivoluzione, furono i bolscevichi. Dieci anni fa, Isabella ha cominciato a viaggiare alla volta di Tula, 200 km a sud est di Mosca, per curare gli alberi della tenuta di Jasnaja Poljana, dove convivono la casa natale, la biblioteca e il frutteto.
«Ormai le piante le chiamo per nome… Tolstoj sceglieva personalmente le piante, ne fece collocare oltre ottomila! Lavorare su quel frutteto è un grande onore, ma anche una sfida difficile. I meli fioriscono dopo metà maggio, sono emozionanti, enormi, vanno trattati singolarmente come delle creature vecchie e fragili, testimoni straordinari di una storia secolare e mitica. Uno dei nipoli, Ilja Tolsotj, mi ha confidato che vuole utilizzare la produzione per farne succhi e marmellate con il marchio del nonno: l’importante è sapere che il valore sta nella prosecuzione della storia e non nella quantità di mele prodotte».

Da Tolstoj a Dostoevskij, il passo è stato breve quanto la telefonata di Natalia Nikitina, immaginifica direttrice del museo Pastila Kolomna. La pastila è un dolce della tradizione russa a base di mele (ricorda un po’ le nostre gelatine di frutta), la cui produzione artigianale è stata ripresa negli ultimi anni, glorificata oltre che dal museo, da un festival molto popolare dedicato alle mele e alla poesia. Nikitina ha comprato il terreno confinante con la tenuta della famiglia Dostoevskij, semi abbandonata, con l’intento di creare un kolchoz, una fattoria didattica. «Ricreare il frutteto è complicato, perché durante la rivoluzione sono andati distrutti gran parte degli archivi. Solo negli ultimi anni è cominciato il recupero delle tradizioni, è stato ricostruito l’antico forno collettivo e stiamo cercando dei vecchi telai. Ricostruire le memorie è appassionante. A metà ‘800 Saratov, città natale di Juri Gagarin (il primo uomo nello spazio), ospitò un pittore fiorentino, Ettore Paolo Salvini Baracchi, arrivato al seguito di un ricco commerciante locale. Saratov sorge sulle rive del Volga (che lì è largo 10 km!) ricamate dai meleti. Baracchi costituì una scuola in cui si formarono alcuni tra i maggiori pittori russi dell’epoca. Che naturalmente dipingevano frutta… Piante meravigliose, a lungo abbandonate e ad alto rischio di scomparsa. Lì hanno capito che bisogna intervenire».

E in Italia?
«Qui continuo ad arrabbiarmi. Siamo nella culla della storia, possiamo ancora leggere le stratificazioni di Etruschi e Romani, in quale altro Paese? C’è ancora così tanto da scoprire! Studiare nei monasteri benedettini, vero ponte tra Impero romano e Medioevo, non sarebbe una ricerca erudita, fine a se stessa, ma il recupero di un sapere, la dimostrazione della capacità adattativa del patrimonio genetico, fondamentale per il nostro futuro, e non solo per il nostro passato. Occorre ricostruire le radici, il percorso, la sostanza della biodiversità, che fanno parte del nostro Dna».

Eppure, nessun finanziamento alle ricerche archeobotaniche.
«Il rapporto con la natura non può essere statico per definizione. La natura si evolve. E invece passa l’idea delle superbanche, tipo quella delle isole Svalbard. Concentrare lì tutta la biodiversità non ha senso. I semi vanno fatti fruttificare, altrimenti diventano come una collezione di farfalle fissate nelle teche con gli spilli. Poi naturalmente c’è anche il fatto culturale. L’arte rinascimentale è un catalogo straordinario poco studiato. Agli Uffizi ci sono le opere di una miniaturista fiorentina, Giovanna Garzoni, che dipingeva i frutti raccolti nei giardini dei Medici. I compilatori di cataloghi confondono azzueruoli e ciliegie… I pittori sapevano, dipingevano simboli, i frutti erano scelti con grande accuratezza».

Recuperare i fili è un’attitudine femminile?
«Le donne sono le mie testimoni privilegiate. Siamo quelle che hanno più contatti con la natura, ci portiamo addosso il concetto della conservazione e della trasmissione, uguale nelle donne di tutto il mondo. A noi compete la prosecuzione della specie e siamo le depositarie della memoria, che è poi la stessa cosa. La storia del quotidiano, familiare, rurale la fanno le donne. E coltivare la frutta giusta, resistente ai parassiti, poco bisognosa l’acqua, insomma la frutta antica, significa proteggere il futuro. Vorrei poterlo fare anche qui, non solo a casa di Tolstoj».

da https://www.vanityfair.it/mybusiness/donne-nel-mondo/2020/02/15/isabella-dalla-ragione-frutti-estinzione-archeologia-arborea

Il seminario in video conferenza si è tenuto martedì 28 luglio 2021

Riportiamo di seguito la trascrizione del seminario tenuto in video conferenza:

I due argomenti su cui vorrei mettere l’attenzione, parlando di agricoltura biologica, di agricoltura- è una parola che non mi piace ma sostenibile- un’agricoltura che possa avere rispetto del terreno, dei prodotti e alla fine di chi consuma questi prodotti, in realtà sono due elementi, a mio avviso, di grande importanza: uno, e che non mi stanco mai di dirlo, è l’aspetto terreno: il terreno è in realtà quello che supporta tutte le attività e non è mai considerato abbastanza, tenendo conto che, per esempio, quando parlo di lavorare il terreno in tempera, tutti quanti, anche i giovani agricoltori volenterosi, mi guardano come se dicessi una parola strana. In realtà ci sono delle norme agronomiche fondamentali, proprio della buona e rispettosa agricoltura, che ti dicono di mai lavorare il terreno quando non è in tempera. La tempera è la condizione del terreno essenziale. Questo discorso del terreno è alla base non tanto dell’agricoltura biologica, ma dell’agricoltura in generale. Se non si parte da una buona conduzione del terreno agricolo, crolla tutto il discorso eccetera. La sostanza organica, ahimè, e qualcosa che non viene più considerato come problema – in realtà è un grande problema-, la totale, a volte, mancanza di sostanza organica nei terreni super lavorati, nei terreni condotti soprattutto in agricoltura convenzionale, là dove c’è una sterilità del terreno, dal punto di vista della sostanza organica, tant’è che quando io feci una ricerca qui in Umbria, ma, ahimè, ben più grave anche in altre regioni, il ripristino del 25% di sostanza organica

Quando feci questo lavoro di studio proprio sulla sostanza organica nei terreni coltivati, in generale, in realtà venne fuori che questa sostanza organica era totalmente assente. Per ripristinare un 25% di sostanza organica ci vogliono 30 anni di riposo. Questi terreni sono completamente sterili, perché utilizzano, in particolare, mezzi sempre più pesanti, concimi minerali che sono quelli che fanno abbattere completamente la sostanza organica, quindi noi per poter ripristinare minimamente in questi terreni ci vorrebbero 30 anni di non coltivazione. E’ ovvio che la perdita è clamorosa. Quello che io suggerisco sempre agli agricoltori, anche ai grandi agricoltori, perché poi anche loro dovranno cominciare a pensare che in terreno non è solo il loro ma è di tutti, ovviamente adesso è abbastanza passato il discorso che tutte le lavorazioni profonde con rovesciamento, quello che poi viene chiamato lo scasso famoso, che prima si faceva, in particolare nei vigneti e nei frutteti, a 80 cm e poi si rivoltava con l’aratro da scasso, questo significava che praticamente veniva portato in superficie il terreno completamente sterile e veniva interrato in profondità il terreno con sostanza organica. Quindi era un principio completamente sbagliato. In genere si consigliano lavorazioni profonde sì, ma senza rovesciamento, quindi la famosa rippatura, quella che taglia e non rovescia, e soprattutto si consigliano lavorazioni superficiali, una volta che si è impiantato, ora parlo delle arboree, naturalmente, dove le lavorazioni che si fanno sono solo superficiali, proprio per mantenere questo discorso della sostanza organica. L’altro. Essenziale nel quale c’è sempre discussione, perché io lo so che i miei colleghi agronomi dicono che c’è troppa competizione, in realtà l’inerbimento è essenziale – l’inerbimento significa inerbimento stabile, non da dover rimuovere sempre- innanzitutto per la sostanza organica, poi perché con l’apparato radicale il terreno si mantiene sempre areato, e quindi ossigeno e quindi microorganismi cosiddetti buoni che elaborano la sostanza organica. In più evita il compattamento, l’asfissia dei terreni perché comunque i mezzi ci passano e poi c’è la funzione essenziale di inerbimenti appositi che danno aiuto all’impollinazione, perché i pronubi vengono attratti dalle specie erbacee, poi, intanto che sono lì, vanno anche sulle specie arboree, e poi rimangono comunque in zona perché se hanno una gradualità di fioritura rimangono nell’azienda. L’inerbimento permanente, è chiaro che nei frutteti adulti la competizione non c’è più perché va in basso con l’apparato radicale e quindi non è importante questa competizione. I primi 2-3 anni posso essere d’accordo perché i primi 2-3 anni l’apparato radicale è superficiale e quindi si tende a non impiantare l’inerbimento permanente, però è essenziale farlo sempre proprio per questo discorso della salute del terreno, della presenza di sostanza organica, e ovviamente per la salute delle piante, alla fine, e dell’agricoltura, in definitiva. ci sono dei casi in cui molti agricoltori aspettano l’inerbimento spontaneo, però spesso le specie avventizie, cioè quelle spontanee, sono abbastanza lente a occupare il terreno e spesso hanno anche un eccessivo sviluppo tipo l’alappa o lo stoppione, piante che hanno apparati radicali molto profondi ma soprattutto un apparato fogliare molto esteso, quindi non sono proprio adatte a questo tipo di inerbimento. È sempre meglio fare una semina per questo tipo di inerbimento. Poi si scelgono naturalmente le più longeve tipo i prati stabili, tipo le leguminose, che sono anche a rapido accrescimento, e quindi sono più competitive nei confronti delle infestanti, hanno un apparato radicale non troppo profondo. Le leguminose non sono tanto resistenti al calpestamento, infatti, si tende a fare questi prati soprattutto con le graminacee, perché sono quelle più resistenti e alla siccità e al calpestamento. Quindi questo è una condizione essenziale. Poi favorire la presenza di fiori diversi, una famiglia importante sono le crucifere, perché essenziali per gli insetti bottinatori e sono piante con le caratteristiche che abbiamo detto prima tipo la senape, per esempio, sono piante rapidissime a crescere, che non hanno nessun tipo di problema, quindi, è essenziale avercele queste specie in frutteto, in vigneto, ma anche nell’inerbimento temporaneo, che poi è il sovescio. Il sovescio è quello che viene adottato sia in frutticoltura, nel periodo autunno vernino, ma anche negli orti. Negli orti si consiglia di fare dei sovesci a ciclo brevissimo, la senape, ripeto, è perfetta perché ha un ciclo che dura praticamente un mese e mezzo, quindi è rapidissima, poi si fa il sovescio, si lavora e arricchisci la sostanza organica. Siccome il sovescio si fa a ridosso della coltura che deve essere fatta, si passa prima stendendo, facendo appassire le piante da sovesciare e poi si interrano, questo perché fa prima a essere poi trasformata in humus. Queste sono proprio pratiche agricole, ma non sono pratiche agricole di chissà quale teorico o filosofo dell’agricoltura, sono le pratiche della buona agricoltura tradizionale e della buona agricoltura che ha rispetto del terreno. Anche qui si cerca di favorire la flora erbacea spontanea, ma bisogna conoscere le specie avventizie spontanee perché non sempre sono utili a questo tipo di lavoro. le leguminose, ma soprattutto le crucifere, tipo senape, sono perfette per questo tipo di azione. Questa è una pratica che dobbiamo sempre consigliare gli agricoltori, piccoli medi e grandi, perché senza questa pratica dell’inerbimento temporaneo -sovescio- e senza la pratica dell’inerbimento permanente, abbiamo un impoverimento della sostanza organica terribile, un compattamento del terreno molto forte e soprattutto – l’abbiamo visto – l’azione erosiva delle piogge violente, le grandini violente, se c’è la copertura erbacea tutto questo viene attutito. L’apporto esterno per la sostanza organica è la concimazione. La cacca è la parte più importante di apporto esterno in agricoltura -la funzione del concime minerale ha devastato la presenza di sostanza organica quindi mi rendo conto che ci sono terreni che magari hanno bisogno di apporti extra di alcuni elementi, ma in genere dei buoni letami, dei buoni concimi organici hanno tutto quello che serve alla coltivazione. Il letame bovino è quello più adatto, il migliore, ancora insostituito, perché funziona anche come ammendante cioè correttore della tessitura del terreno, della leggerezza del terreno, cosa che gli altri non hanno. l’equino, in particolare, va bene ma il cavallo non è un ruminante quindi spargere nel terreno letame equino significa spargere una quantità di erbe, di infestanti notevoli mentre invece col letame bovino tutto questo non succede essendo il bovino un ruminante. L’ovino e il pollino sono ottimi concimi, ma non hanno questa funzione di ammendante, che in terreni sia sabbiosi, che hanno bisogno di aumentare la tessitura, quindi la struttura del terreno, sia quelli calcarei e argillosi, che hanno il problema grosso che sono terreni pesanti in inverno e siccitosi in estate, il fatto di avere la presenza di sostanza organica buona e di letame aumenta la capacità e di imbibizione dell’acqua durante l’estate, ma soprattutto mantiene il terreno areato e molto più leggero. Questa è condizione fantastica, essenziale, ovviamente c’è anche il discorso della lombricoltura che porta anche quella, però sulle grandi estensioni è difficile che abbiamo abbastanza compost di lombrico da concimare grandi estensioni. E’ ovvio che il letame bovino o di grossi animali conviene molto di più. Essendo sempre meno frequente la presenza di allevamenti di vicinanza, in realtà è sempre più difficile avere un concime organico, letame che deve essere maturo, quindi ci si rivolge al letame organico pellettato, che è buono e nutriente ma perde quella funzione ammendante. Ugualmente anche il compost casalingo, poi dipende da quello che ci si mette dentro, perde molte delle funzioni anche se non è che fa male.

Oche in vigna è un’azienda in Umbria, a Montefalco, zona di vigneti superintensivi. Questo agricoltore, De Filippo, ha fatto questo esperimento: lui ha 400 oche in vigna e le lascia in vigna dalle 6 della mattina alle 7 della sera. L’oca ha il piede palmato, non fa costipazione nel terreno, come se fosse un piccolo trattorino a cingoli, però poi non razzolano infatti le oche, ma solo strappano l’erba, per questo hanno una funzione importante. Questo signore, ormai da diversi anni, ha fatto questa esperienza e ha portato anche dei dati importanti tipo che lui risparmia, fate conto, 100 litri di gasolio a stagione, perché non ci fa passare il trincia, perché ci passano le oche, e dove passano le oche non cresce niente, quindi non ci deve passare col trincia e risparmia, ovviamente, e in più l’oca “magna e caca” e quindi ha anche una funzione di buona concimazione. Lui l’ha fatto anche in maniera carina, sta lavorando con l’Università di Perugia per capire anche quali possano essere ulteriori applicazioni di questa convivenza tra coltivazione non familiare e la presenza di animali da cortile. Questa esperienza, secondo me, è molto interessante e se ci pensiamo nel passato c’era: le galline, le oche, soprattutto negli arboreti erano presenti. Però la gallina ha delle controindicazioni mentre l’oca no. La gallina va, salta e pizzica l’uva, l’oca non lo fa, mangia solo ed esclusivamente l’erba. C’è questa possibilità di ripristinare questa sorta di convivenza con la presenza animale e la presenza di coltivazioni anche di pregio perché il Sagrantino di Montefalco è un vino super eccellente. Quest’azienda è biologica, anzi addirittura biodinamica, fanno un vino molto pregiato, di alto livello e quindi c’è la possibilità di usare delle alternative e di migliorare la condizione del terreno e, soprattutto, della sostanza organica. Ovviamente, nei mucchi di letame, nei mucchi di terra svernano le larve dannose. Nei nostri vigneti, quando letamavano, c’era sempre questo problema. Queste sono larve del maggiolino di melolonta che è piuttosto dannoso, però ci sono tecniche di lavorazione o di rivoltamento del letame durante l’inverno e queste muoiono perché loro stanno sotto per svernare, se vengono portate alla luce, al freddo muoiono tutte, quindi ci sono tecniche facilissime per accertarsi che non spargiamo con il letame o con del buon concime anche queste larve dannosissime.

L’altro punto molto importante che volevo affrontare a volo d’uccello è l’altro punto, a mio avviso, essenziale, se si vuole fare una buona agricoltura biologica, biodinamica e quant’altro, è il discorso sulla scelta varietale. Specifica e varietale ma in particolare quella varietale. Qualche anno fa tenni due o tre lezioni a degli agricoltori biodinamici. Curiosamente, questi agricoltori biodinamici non avevano mai affrontato questo discorso della scelta varietale. In agricoltura biologica è un po’ più avanti questa scelta, sono state costituite, in questi anni, diverse varietà adatte all’agricoltura biologica -perché magari sono più resistenti eccetera- però era, fino a poco tempo fa, ancora un argomento poco conosciuto, poco valutato, invece è fondamentale. Qui ho riportato uno scritto di Mancinelli del 1925 dove lui dice abbiamo fatto posto volentieri a queste varietà esotiche per quel vezzo di apprezzare più i prodotti che ci vengono da fuori anziché guardare quelli che crescono spontanei e vigorosi sul nostro suolo. Noi sappiamo bene che non è stata una questione di provincialismo il fatto di avere abbandonato le nostre varietà o di aver introdotto varietà e specie esotiche, però già nel 1925 c’era questo problema, se poi lo diceva lui, che era un tecnico della Cattedra ambulante, evidentemente c’era già da prima, quindi ci sono 2-3 cose che sono sbagliate proprio. Il fatto di guardare varietà che crescono spontanee, in realtà la varietà non è mai spontanea, ci sono le mutazioni che avvengono spontaneamente, ma le varietà sono coltivate, poi ovviamente c’erano delle specie che si propagavano da seme, tipo il pesco, fino a 100 anni fa si propagava da seme, e le varietà per innesto, dice lui, vivono una vita più lunga e rigogliosa. Questo è vero perché le varietà locali – le vecchie o antiche varietà (da tanti anni insistiamo perché vengano rivalutate e valutate le varietà locali) – sono meglio adattate. Siccome adesso è molto di moda la varietà delle antiche piante, in realtà non è questo. Io tengo sempre a precisare il fatto della varietà locale, che quindi è meglio adattata quella situazione in cui è stata selezionata magari da 300, 400 anche 500 anni. Queste sono, ovviamente, le varietà che andrebbero privilegiate, però, ovviamente, non è che dico solo quelle perché poi sono state selezionate, negli anni, delle varietà interessanti tipo la florina, per intenderci, una varietà di mela resistente alla ticchiolatura e quindi chiaramente è stata fatta, in particolare, per i frutteti in biologico e funziona molto bene perché non è una mela proprio eccellente però e una buona mela totalmente resistente alla ticchiolatura e quindi si ottiene un buon prodotto anche senza trattamenti. Questo tipo di varietà sono da privilegiare per questa loro rusticità, che non è sempre vero, come vi dicevo prima, la calvilla bianca, un’antica varietà, in realtà non è affatto rustica, piuttosto delicata soprattutto se spostata dal suo ambiente di origine. Quindi sempre bene scegliere tra il parco varietale, possibilmente le varietà locali, però ci sono anche delle varietà che magari, per le loro caratteristiche, sono più moderne oppure sono varietà di qualche regione limitrofa, che però possono rispondere bene alla coltivazione. Il panorama varietale apparentemente è vasto, dico apparentemente perché non è reale questa cosa, perché, di fatto, poi dai vivaisti o al mercato si trovano veramente poche varietà e sono quelle che vengono imposte, in qualche modo, dal mercato vivaistico e dai costitutori di varietà che magari costituiscono una varietà e allora ne decantano le caratteristiche meravigliose perché gli agricoltori possano caderci e scegliere queste varietà. Questo in frutticoltura. Il problema, in frutticoltura, è che se un agricoltore fa l’investimento di un frutteto, non è che l’anno prossimo va un’altra varietà e allora cambiamo. L’investimento, in frutticoltura, è abbastanza grande e di lungo termine, in orticoltura è molto diverso. Io qui raccomando, non è proprio il mio settore l’orticoltura, però sento spessissimo delle richieste anche da parte di piccoli e medi agricoltori, che magari vogliono coltivare delle varietà orticole, magari delle vecchie varietà, delle cose interessanti e in realtà si trovano in grande difficoltà perché il mercato orticolo è veramente stratosferico, però la maggior parte delle varietà che si trovano in commercio, sono varietà ibridi F1 quindi non riproducibili assolutamente. Questo sappiamo tutti cosa significa. Sono varietà che sono state costituite, io porto sempre l’esempio del cetriolo: c’erano decine di varietà di cetrioli – in Russia ce ne hanno decine di varietà, il cetriolo è una delle varietà più diffuse in Russia perché ci fanno il famoso cetriolino in salamoia da mangiare per attutire la bevuta di vodka- da noi ne esistono pochissime, poi apparentemente, ogni tanto, vengono fatte uscire le varietà, in realtà sono tutte F1, quindi sono tutti ibridi F1 che sono buoni per essere seminati in quell’anno, già il secondo anno non funzionano più, quindi siamo costretti a ricomprare la semenza. Questo è verissimo, per esempio, anche con i meloni. I meloni hanno subito una selezione fortissima, adesso nel commercio c’è una varietà, che è il retato, quello è tutto ibrido F1. Quando dico F1 dico l’ibrido che, in tecnica selettiva, è la prima generazione, cioè viene selezionata la prima generazione che è quella bella, forte e vigorosa, la seconda generazione, quella che è l’F2, non funziona più perché approfittano di questa situazione e mettono sul mercato solo la F1 cosicché gli agricoltori se la pigliano in quel posto. E’ vero che i meloni adesso sono perfetti, anche buoni, perché sulla selezione dei meloni è stato fatto un ottimo lavoro anche sulla qualità, però è un’unica varietà, un unico ibrido. Tra l’altro, il seme di uno di questi meloni costa 80 centesimi, 1 seme, quindi costa tantissimo. Anche lì, in realtà c’era una grande varietà di meloni diversi, ovviamente erano poco resistenti alle manipolazioni, shelf life cortissima, anche quello ha influito notevolmente nella scelta di quella varietà retata – che la butti da 3 metri e non si fa niente-, questi altri meloni tipo il melone rospo, il rampichino e questi qui sono invece delicatissimi dal punto di vista delle manipolazioni e quindi vanno bene per un’agricoltura di prossimità cioè l’orto di casa e basta. Ovviamente, che è proprio il mio settore di lavoro e di ricerca, la frutticoltura è esattamente la stessa cosa. Mi piace fare vedere questa foto di pere per capire qual’è stata l’evoluzione sulle varietà. A sinistra c’è la pera selvatica fino ad arrivare alla spadona d’inverno, che peraltro è una varietà settecentesca. Nel pero il ricambio varietale c’è stato molto poco. L’Italia è il terzo produttore mondiale di pere, produciamo circa due milioni di tonnellate di pere, quindi una bella produzione. Purtroppo, questa produzione si basa su 5 varietà, per l’80%, già la spadona non c’è più tra queste 5 varietà però noi coltiviamo ancora Kaiser, Conference, Abate Fétel e William che sono tutte varietà del 1800 addirittura, anzi, l’Abate anche un po’ prima. Il cambio varietale sul pero, anche quella che si chiama la Bartlett, che poi è un po’ un’evoluzione della William, è una William rossa, purtroppo lì c’è stata questa evoluzione e ovviamente le pere che noi coltiviamo adesso in Italia, ne coltiviamo tante, di fatto sono per la grande distribuzione, che quindi necessita di un prodotto che sia facilmente conservabile, facilmente manipolabile, tant’è che la qualità del frutto si è abbassata tantissimo. I frutti sono diventati più grandi, più belli a discapito della qualità organolettica. Lo stesso discorso vale per le mele: la mela è uno dei frutti più coltivati al mondo perché è facile da trasportare, è facile da conservare ed è un frutto climaterico, come la banana, nel senso che si raccoglie non matura e continua la maturazione in frigorifero, anzi, con la mela viene anche ordinata la maturazione, viene velocizzata con l’etilene. Molti altri frutti che noi abbiamo, tipo le albicocche, i fichi, sono tutti frutti che non sono climaterici, quindi la qualità delle albicocche che noi troviamo sul mercato è pessima perché sono obbligati a raccoglierla quando è ancora dura, perché sennò non si trasporta, in realtà una volta raccolta, l’albicocca lì si ferma. Quindi le albicocche magari sono belle ma la qualità è pessima, non sanno di niente. Lo stessi i fichi. Il fico non può essere raccolto prima della completa maturazione, quello addirittura non si conserva neanche in frigorifero, quindi ha questo grosso problema. il parco varietale delle susine, ormai, di fatto, si è completamente cambiato in Italia. Noi coltiviamo le cino-giapponesi, tra l’altro selezionate in California, e riportate in Italia per essere coltivate. Questo significa che sono varietà assolutamente non adattate ai nostri climi, ai nostri terreni, alle nostre situazioni, quindi hanno bisogno di una grande quantità di apporti esterni- chimica, fertilizzanti e acqua. Questa è la condizione che c’è in quasi tutti i frutti; una scelta varietale di questo genere significa che le piante hanno necessità di grandi apporti esterni. In più, nel susino cosa è successo: noi, o meglio, loro hanno immesso sul mercato le cino-giapponesi, le californiane, tipo le black Angeleno, susine molto grosse – perché vengono concimate molto e irrigate molto- frutti bellissimi da vedere ma assolutamente insapori. Però il vizio del mercato, dei consumatori, ahimè è questo, perché se tu arrivi con questa susina così piccolina sul mercato, devi arrivare sul mercato di prossimità – non puoi arrivare sul mercato lontano- però è chiaro che se ho questa piccola e questa grande, ahimè, le persone scelgono questa grande. Anche se costano nello stesso modo. In genere la susina piccola, siccome ci vuole più tempo per raccoglierla, costa un pelino di più quindi figuratevi che cosa sceglie la gente. Anche noi, pur facendo questo lavoro, pur conoscendo tutti i retroscena, il nostro occhio cade subito sulla susina più grande, non tanto sulla susina piccola e in più c’è questo discorso del prezzo. L’altro frutto interessante, che io non voglio parlare delle ciliegie, perché le ciliegie poi il Piemonte è una regione di produzione delle ciliegie, ahimè, anche lì c’è stato un grande abbattimento delle varietà e poi abbiamo la grande competizione con la Turchia: la Turchia è un grandissimo produttore di albicocche – è il 1° produttore europeo di albicocche – e di ciliegie, la ciliegia tardiva, cioè le ciliegie che troviamo adesso sono perlopiù turche. Hanno coperto questa parte di mercato che a noi mancava e arrivano le ciliegie turche. Queste sono invece le ciliege acide, tipo visciole e amarene, ma ce ne sono tantissime varietà, peraltro l’Italia ne produceva tantissime perché nella tradizione nostra, nella tradizione di tante regioni, Il Friuli, Il Piemonte, le Marche, l’Umbria ma addirittura la Puglia, ci sono tantissimi prodotti a base di visciola o amarena, marasche, marasconi e quant’altro. La visciola, peraltro, che è questa più piccola, io ho fatto un lavoro su questo frutto assolutamente sottoutilizzato, ormai, in realtà è il frutto più ricco in assoluto di antiossidanti – nessun paragone con la melagrana, non c’è paragone, questo e il più ricco in assoluto – e in più contiene come unico zucchero il sorbitolo, che è l’unico zucchero che possono mangiare i diabetici, quindi andrebbe e varrebbe la pena ricoltivarlo, riproporlo nel mercato. Tra l’altro, un frutto di questo genere può spuntare anche dei buoni prezzi perché, di fatto, la grande criticità di questo frutto è la raccolta, però, a differenza del ciliegio, il visciolo è una pianta molto più piccola, che si può potare bassa e quindi facilitare il più possibile la raccolta, però, comunque, è un frutto piccolo, per fare 1 kg di visciole ci vuole tempo e poi il rapporto polpa-nocciolo è sfavorevole perché ha il nocciolo grande però ha queste due caratteristiche straordinarie che varrebbe la pena rivalorizzare. Tra l’altro è una pianta rustica e poco esigente. Così l’amarena, ma la nostra amarena è meno caratterizzata perché ha la polpa bianca ecc., è un prodotto da trasformazione come la visciola, non sono prodotti che si mangiano freschi. Sul mercato, poi, non ci sono più questi piccoli frutti che hanno perso completamente la loro funzione – le cotogne, le giuggiole, le nespole e le sorbe- che, in realtà, poi mi rendo conto che un agricoltore non mette un nespoleto perché, di fatto, il mercato non sa manco che sono le nespole per cui sarebbe interessante trovare una funzione diversa. Io suggerisco sempre di trovare delle funzioni nutraceutiche: per esempio, il nespolo è una specie molto astringente, quindi, utilizzato, come in passato, come antidiarroico, è una pianta che potrebbe avere delle funzioni; anche le sorbe, quindi se si trovano delle funzioni, oltre che nutritive, anche nutraceutiche di fatto si ridà un po’ di speranza questo tipo di frutti e anche alla diversificazione della produzione tenendo conto che poi questi frutti, tipo il corniolo, non è che hanno bisogno di essere coltivati in senso, cioè non hanno bisogno di niente, se hanno le condizioni giuste di acqua o di terreno, li pianti e te li dimentichi fino a quando non devi raccoglierli. Quindi sarebbe interessante. Così come la mandorla. La mandorla è un frutto che ha bisogno del clima mediterraneo, però poi anche questo non è così vero, perché io lavoro sulla mandorla In Abruzzo, a 1200 metri di altitudine, dove è freddo, ci sono situazioni apparentemente nemiche della mandorla, e invece la mandorla è diffusissima, come a Norcia era diffusissima, l’unico problema è che la mandorla, pur essendo una pianta rusticissima, che non ha bisogno di niente,  perché ha un apparato radicale profondissimo, in realtà è stata completamente abbandonata nei luoghi non vocati, cioè che parliamo di Sicilia o di Puglia, ma di mandorleti ne vedete ormai più pochi perché il grande problema della mandorla è, anche qui, la raccolta. La raccolta è il punto critico dei mandorleti, è il punto essenziale che ha fatto abbandonare tantissimi mandorleti nelle zone di tradizionale coltivazione. In Abruzzo, prima veniva coltivata per fare i confetti, poi hanno smesso di coltivarle e hanno cominciato a comprare delle mandorle della Sicilia, l’avola, in particolare, che è quella molto schiacciata, e poi hanno smesso e comprano tutto dalla California perché 10 kg di mandorla sgusciata della California costano come 1 kg con guscio della mandorla nostra italiana. Dunque, chiaramente, non c’è storia. Ed è un frutto veramente straordinario. I frati di Assisi, tra il 1500 e il 1600, consumavano una quantità enorme di mandorle, molto più di altri frutti secchi, perché la mandorla è un frutto energetico, se le facevano portare o dalle zone intorno o dall’Abruzzo, da Sulmona, e ci facevano le minestre: minestra di farro e mandorle era comunissima, poi quando arrivava qualcuno di pregio nel sacro convento, a questa minestra di farro e mandorle ci aggiungevano cannella e un po’ di zucchero. Se arrivava l’abate da non so dove o il messo da Roma ci aggiungevano queste due cose, ma sennò era la minestra classico del sacro convento. Oppure ci facevano anche i maccaroni con la mandorla, era usatissima, per dirvi che è un frutto di cui noi abbiamo perso la diversità di uso, sì dolci, in realtà era anche usato come frutto salato. Per es. la mandorla verde era usatissima: ancora oggi, in molti paesi del Medio Oriente, in Giordania, in Libano ma anche in Palestina, si vende al mercato la mandorla verde che era usata in insalata affettata fine fine e si mangiava a maggio, condita con olio, sale e limone – perché sennò si annerisce – o l’aceto. Quindi era usatissima. A noi bambini dicevano, non le mangiate che vi fanno male, in realtà non si devono mangiare perché se mangi la mandorla verde a quella matura non ci arriva, quindi si erano inventati che ci faceva male. I fichi sono un’altra specie completamente in disuso, perché un frutto non climaterico, che va raccolto perfettamente maturo e non si stocca in frigorifero. Questo significa che è totalmente inadatto al commercio attuale, l’unica cosa che trovate sono i fichi secchi, ahimè, anche quelli che provengono non dall’Italia, ma Turchia o Marocco o Tunisia perché l’essiccazione comporta un pochino in più di laboriosità per cui è stato più conveniente per il commercio comprare da paesi terzi e, ahimè, questo ha significato grandi problemi dal punto di vista della salubrità del prodotto perché il prodotto viene arricchito di conservanti (come per le albicocche): poiché si anneriscono con l’essiccazione, e per non farle annerire le arricchiscono di conservanti. Quindi tutta la grande straordinaria capacità nutritiva del frutto secco viene annullata dall’utilizzo di prodotti non consoni. Lo stesso le pesche, la pesca viene dall’Oriente, i Romani l’anno portata ma non piaceva tanto, in realtà le pesche si sono diffuse di più dopo, nel Medioevo. E’ lo stesso discorso: questa è una pesca sanguinella, profumatissima, però è una pesca piccola, con il rapporto nocciolo-polpa molto sfavorevole, quindi totalmente abbandonata. Adesso poi abbiamo il grosso problema che i nostri diretti competitor sono gli spagnoli che hanno occupato una buona fetta del mercato della pesca che, non vi dico che cosa significa dal punto di vista dei trattamenti perché già la nostra pesca è fortemente trattata, quella spagnola ancora di più.

Purtroppo, anche qui, non c’è abbastanza conoscenza da parte degli agricoltori biologici e ancora meno dei biodinamici sul tema del portainnesto. In realtà è fondamentale scegliere il giusto portainnesto per poter affrontare una frutticoltura biologica che porti a un prodotto ottimale. Ottimale significa un buon prodotto che possa essere portato nel mercato e competere con altri prodotti, quindi la tematica dei portainnesti è fondamentale, ahimè, poco conosciuta.

Finisco con una battuta. L’altro giorno sentivo questi nuovi studi che sono stati fatti sulla scomparsa dei dinosauri perché noi abbiamo sempre saputo che i dinosauri sono scomparsi perché c’era stata questa meteorite che poi ha fatto il cambiamento climatico, che ha fatto venire fuori la glaciazione ecc. ecc. in realtà, quello che è venuto fuori, di fatto, è sì, la meteorite ha fatto il cambiamento climatico, ma il problema è che ci si è trovati qualche milione di anni fa che i dinosauri sono scomparsi perché si erano semplificate le specie; le specie erano diminuite talmente tanto, la diversità è scomparsa per cui i cambiamenti climatici, dovuti alla meteoriti, a quello e quell’altra, hanno portato, in realtà alla loro scomparsa ma non è stato il meteorite che li ha fatti scomparire bensì la scomparsa della diversità. Questo ci dovrebbe far riflettere. Certo, poi dicono, ci sono voluti milioni di anni. No, ci è voluto pochissimo, pare, per far scomparire i dinosauri perché è bastato un evento clamoroso che ha trovato queste poche specie che non si potevano adattare a questo cambiamento. Per tutti noi questo dovrebbe essere un monito. A parte i poveri dinosauri, il fatto della semplificazione che ci porta a essere estremamente suscettibili perché non abbiamo la possibilità di rispondere in maniera efficace a qualunque cambiamento avvenga. E i cambiamenti avvengono, perché i cambiamenti climatici avvengono, le malattie, ogni anno arriva qualche insetto nuovo, figuratevi con la globalizzazione arrivano insetti da tutte le parti, per cui l’unica risposta che noi abbiamo è la biodiversità, la diversità perché in quel modo noi possiamo provare a rispondere a eventuali eventi che, abbiamo visto, ce ne sono sempre.

Questa cosa dei dinosauri mi ha molto colpito perché ribalta il sentito popolare. Sono spariti per semplificazione, sono cominciate a sparire le specie perché non c’era più la possibilità di trovare qualche specie che magari poteva resistere ai cambiamenti climatici; questa è la cosa essenziale perché quando io dico delle varietà, delle vecchie varietà, in realtà l’agricoltura è una storia di arrivi, partenze, arricchimenti, scambi, grazie a Dio, tra l’altro il Mediterraneo aveva due specie: il fico e l’ulivo. Invece dopo dalla Siria è arrivata a pera, dal Tagikistan è arrivata la mela e via via via. Per cui non è un discorso di non fare arrivare specie o varietà o di scambiare, perché quella è la grande ricchezza, il problema è che invece, adesso, c’è un’apparente possibilità di scambiare ecc., in realtà il mercato ci ha semplificato in maniera devastante. Il grande problema è la semplificazione.

Peraltro sentivo quello che dicevi sul sapore: sulle pesche, sulle pere, sulle susine… Non ci sono più quelle intensità, quei profumi, c’è uno standard mediocre, non cattivo ma mediocre.

Mediocre, considerando che questi frutti potrebbero essere molto più buoni. Ma lì c’è la grande problematica del mercato, cioè della grande distribuzione che necessita di tempi lunghi e di viaggi lunghi. Io conosco la situazione di Valfrutta, che è il distributore in Romagna, a Faenza, loro hanno aziende in tutta Italia. Loro hanno lavorato tantissimo sul fatto di accorciare i tempi di questa distribuzione per cui sono riusciti ad allungare sempre di più i tempi del frutto in pianta. Raccolgono quasi a ridosso della maturazione effettiva, dunque il frutto è molto più buono. Arrivano la sera, arrivano tutti i produttori di pesche, per dire, delle nettarine, il giorno dopo sono già sul mercato. Non parliamo di frutti biologici, naturali, assolutamente, parliamo di frutti che sono intensamente trattati, però per dire che potrebbe giocare ancora di più questo discorso, perché la qualità del frutto si è persa completamente e si è persa anche la capacità delle persone di apprezzare, di cercare un frutto buono. Perché se tu metti sul mercato la susina pacchiarella, che è sta susina piccola anche se saporitissima, le persone difficilmente vanno lì a prendersi quella. Siamo veramente viziatissimi.

Che poi ti abitui a certi parametri e non riconosci più gli altri.

Dicevo della Spagna, la Spagna ci ha fregato una parte del mercato. A fine maggio arrivano già le pesche dalla Spagna. Le pesche della Spagna, che sono tra l’altro pesche belle – tu le compri, in realtà, perché è una primizia – tieni conto che tradizionalmente il pesco maturava, da noi, da fine agosto a tutto settembre, era un frutto autunnale, invece arriva a fine maggio per cui la gente la compra; poi non sa no di niente, di meno che di niente però intanto la compri. E questo è un gioco al massacro.

L’altra cosa a cui pensavo è la scarsa varietà di pere, mi colpisce che ci siano 4 pere sul mercato…

Tra l’altro, pere estive ancora meno perché c’è solo la Coscia, che è, tra l’altro, una vecchia varietà coltivata in maniera intensiva. La pera ha il grande problema di essere un frutto estremamente delicato alla manipolazione. E’ un frutto che si annerisce subito, non è frutto veramente climaterico. Il pero, raccolto formato il frutto, poi però gli zuccheri non li elabora più se tu lo raccogli, quindi, viene conservato in frigorifero -per altro si conserva molto meno in frigorifero rispetto alla mela e questo è un altro fattore limitante, perché il pero ha meno acidità della mela. Sono tutte caratteristiche che hanno fatto sì che addirittura la pera è definita quasi una specie passata di moda. Avete visto tutta l’operazione che hanno fatto in Emilia Romagna di grande lancio pubblicitario, le pere Opera ecc. perché in realtà hanno perduto grandissime fette di mercato. Per questi motivi. Perché le pere che compri al mercato fanno schifo, belle ma fanno schifo, per cui la gente la compra una volta poi non ci caschi.

E d’altra parte questi tentativi di fare entrare dei prodotti locali nelle mense scolastiche, negli ospedali, nascono col problema che il prodotto locale non può garantire delle continuità

Dovremmo studiare un altro modo perché un modo è 1) comunque di farle conoscere, perché magari io adesso non ho le pere estive ma da qualche altra parte, magari, le pere estive, piccole, ci sono, per cui comunque di rimettere in giro queste piccole varietà solo che vale per il mercato di prossimità o locale, non certo per il mercato più in grande. Anche il negozio a Milano o a Torino, ti dice ok te le prendo, ma me ne devi assicurare un tot sempre in quella stagione perché poi fidelizzo i miei clienti però poi se non le trovano si incavolano.

Occorre sviluppare un progetto che si adatti -e parliamo di prodotto locale, biologico- che si adatti all’irregolarità, alla possibile disponibilità.

Quello è il cliente, noi che siamo in zona produzione lo sappiamo. Quest’anno è inutile che mi vieni a cercare le ciliegie, le ciliegie non ci sono, quelle che trovi sul mercato sono quelle turche. Però il cliente di città non ha nessuna conoscenza del fatto e della stagionalità e della imperfezione del prodotto e del fatto che gli eventi stagionali possono produrre o non produrre. Loro sono abituati in un altro modo, sono abituati che comunque un prodotto, quella c’è sempre, che venga da Dubai o dal Libano o dalla Turchia poco cambia, quindi è un problema di educazione.