12 febbraio 2020
Stefano ed Ivana ci accolgono calorosamente a La Ca’ rotta e, durante la degustazione di alcuni cibi biologici come succo di mele e gallette di grano saraceno prodotti con le loro materie prime, ci raccontano la loro storia e quella del progetto che, con altri compagni di viaggio, hanno intrapreso alcuni anni fa.
Stefano Vegetabile racconta come, pur provenendo da una famiglia di lontane origini contadine (i nonni lavoravano la terra nella zona delle Langhe) i genitori avessero scelto una vita differente, pur mantenendo sensibilità ed attenzione verso le tematiche ambientali tanto che il padre, ben prima che prendesse piede la raccolta differenziata, si prodigava per selezionare e dividere il più possibile i rifiuti.
Anche Stefano per molto tempo resta lontano dal mondo agricolo, che vede come un mondo strettamente legato alla monocoltura e a tutto ciò che questa comporta, uso massiccio della chimica, grandi produzioni, ma di bassa qualità, sfruttamento del territorio.
Successivamente la passione lo porta ad intraprendere gli studi di Antropologia e man mano viene in contatto con altri produttori e trasformatori che gli consentono di aprire uno scorcio su un mondo contadino diverso, fatto di lavoro in sintonia con l’ambiente e con le altre creature che lo abitano. Capisce quindi che questa è la sua strada ed intraprende alcune esperienze in Ecovillaggi.
Dopodiché, grazie ad una serie di “fortuite coincidenze”, incontra Michela e Claudio il cui sogno è quello di trasformare una vecchia cascina da poco acquistata in ecovillaggio dove sperimentare la vita comunitarie e le buone pratiche.
Così passo dopo passo, il progetto prende forma.
Il cascinale viene man mano ristrutturato utilizzando materiali ecologici e locali, spesso riutilizzando materiali da altri dismessi perché considerati ormai vecchi che invece nelle loro mani acquistano nuova vita e, successivamente, all’eco-villaggio si affianca l’organismo agricolo.
Oggi la parte agricola è costituita da 8 ha di terreno acquistati nel 2016 in cui vengono coltivati un orto in biodinamica (si utilizzano anche altre tecniche quali la permacultura e le relazioni sinergiche tra le piante), un frutteto principalmente di pesche, ciliegie e mele e campi adibiti a cereali (stanno recuperando varietà antiche di grano, mais, grano saraceno, segale) oltre ad una parte di bosco.
Nella gestione della parte agricola si affiancano 40/50 Woofer all’anno, provenienti da tutto il mondo.
Stefano, che ci colpisce per la sua umiltà e sapienza, ci dice come in questa realtà ha trovato la propria piena autorealizzazione, riuscendo a vivere in armonia con ciò che lo circonda ed a esprimere se stesso.
Attualmente l’organismo agricolo produce:
- frutta e verdura
- legumi
- cereali
- farine (mix grani antichi tipo 0 e tipo 2)
- pasta (tagliolini alla curcuma, alla salvia, tagliatelle al basilico, gnocchetti semintegrali)
- gallette di grano saraceno
- gallette di grano saraceno e mais
- succo di mele
- barbera
- birra
La Ca’rotta è però anche scuola, dove vengono tenuti corsi di agricoltura e di panificazione con lievito madre, arte che Stefano ha appreso da Marcarino.
Ripartiamo arricchiti, con molte idee in testa per future collaborazioni e grati per questa nuova opportunità di conoscenza e scambio.

CRONACA DI UNA COLLABORAZIONE “LOGICOBIO”
3 luglio 2020 – Camminare tra i campi: è come entrare in un quadro
“Le annate agrarie sono sempre più strane, – ci racconta Stefano Vegetabile – se una volta c’era ripetibilità nell’avvicendarsi delle stagioni e nel clima, in questi anni il margine di incertezza è molto più grande. In particolare i mesi di gennaio e febbraio così caldi portano molti scompensi alle colture rendendone più difficile la lavorazione. Alcune orticole che normalmente hanno una grande produzione quest’anno stanno producendo pochissimo, come ad esempio le zucchine. Noi però abbiamo la fortuna di utilizzare tecniche che prestano molte attenzioni e cure all’ “organismo agricolo” (la definizione di organismo agricolo proviene dall’agricoltura biodinamica in cui l’azienda agricola è considerata come un unico organismo, dove ogni parte collabora alla salute del tutto). Questo ci aiuta perchè le piante sono più forti e resistenti. Il fatto di avere molta biodiversità tra cui vigneto, orto e frutteto, cereali, fa sì che in campo siano presenti parecchi insetti e farfalle; tutto questo è importantissimo perchè se l’organismo agricolo è in salute anche le singole varietà lo sono. Proprio per studiare le farfalle tempo fa è venuta da noi una studiosa di entomologia dell’università di Torino che ne ha individuate moltissime specie diverse; la loro presenza, oltre ad arricchire di colori i nostri campi, è importante perchè sono alla base dell’ecosistema essendo cibo per altri insetti come le libellule, ma anche per lucertole, pipistrelli e uccelli, risultando quindi fondamentali per gli equilibri naturali.
Per i cereali è quasi arrivato il momento della raccolta. Nonostante ci siano stati alcuni forti temporali, i nostri grani hanno resistito molto bene e questo grazie all’utilizzo di un mix di varietà antiche che, avendo taglie diverse l’una dall’altra, si sostengono vicendevolmente; inoltre non utilizzando concimi azotati il fusto è più coriaceo e anche questo ha contribuito. La taglia alta di questi grani, pur avendo una serie di controindicazioni, da un punto di vista organolettico è un grosso vantaggio in quanto le spighe sono molto più esposte alla luce del sole e mosse dal vento quindi risultano sempre pulite da funghi e da altre problematiche che colpiscono molto i cereali a taglia bassa. L’altezza dei nostri grani arriva anche ad 1,7/1,8 mt. Dovremo tardare un po’ la raccolta però, una quindicina di giorni ancora, per consentirgli di asciugare il più possibile ed evitare la formazione di muffe, una volta raccolto poi lo faremo essiccare ancora qualche giorno sul “batù” (parola piemontese per indicare lo spazio in battuto di cemento nell’aia della cascina) in questo modo il chicco subisce una sorta di leggera tostatura e diventa meno attaccabile dalle farfalline. Con l’orzo siamo un po’ in ritardo, l’abbiamo seminato in primavera e quindi quest’anno ci troveremo a raccoglierlo in concomitanza con il grano. Camminare in questi giorni tra i campi è bellissimo, un po’ come entrare in un quadro, sono autentiche opere d’arte della natura!”
15 marzo 2021- La vigna dei Pòra
” La vigna che io lavoro è dei miei nonni, si trova a Barbaresco, nella zona dei Pòra. Gli intenditori la considerano tra i primi posti per la produzione del Barbaresco. Il bello è che i miei nonni hanno sempre lavorato nella vecchia maniera, non hanno mai guardato solo l’aspetto commerciale per cui mettevano quello che secondo loro era giusto, per cui in questa vigna che potrebbe produrre Barbaresco, hanno impiantato Dolcetto e Barbera. Quindi la vigna è proprio in una bella collinetta, dove prende il sole a 360°, il che fa sì che venga un vino molto carico e forte, molto buono per l’invecchiamento; parliamo di un Barbera che se la cava tranquillamente per 10-15 anni. Il Dolcetto chiaramente un po’ meno, siamo sui 5, però, considerando che un Dolcetto classico in un anno lo devi far fuori, qui siamo su un altro livello.
La vigna è molto vecchia, il primo impianto è del 1952, poi ci sono stati alcuni reimpianti però mediamente tra il 1952 e il 1955, quindi le varietà sono molto vecchie, sono varietà poco spinte, hanno poca foglia, sono piante piccole, quindi fanno pochi grappoli. Noi da disciplinare DOC dovremmo raccogliere 25 quintali e invece ne raccogliamo 8. Sono varietà che adesso non si trovano più e infatti stiamo facendo anche un lavoro di recupero dei legni ecc. anche perché ci sono diversi spazi vuoti perché negli ultimi anni mio nonno non ha più reimpiantato.
I miei nonni hanno sempre lavorato secondo il concetto della vecchia cascina per cui nella vigna, tanto per cominciare, non hanno mai diserbato. Nella vigna ci trovi dei filari più corti, delle piante molto grandi, di ciliegie, pesche, mele, fichi, ci sono diversi spazi incolti dove abbiamo fatto anche dei campionamenti sulle farfalle, ed è una cosa secondo me bellissima, perché è un ambiente equilibrato, biodiverso e stabile da 60 anni. È un po’ quello che le cantine moderne adesso vogliono fare per cui partono, vanno in Toscana e vengono su con dei camion pieni di piante dai vivai toscani che impiantano nei vigneti qua e là per fare biodiversità, va benissimo, per carità, ma quella vigna lì è nata così ed è un punto di forza importante. L’altro ieri sono andato a potare, abbiamo messo anche degli arbusti per fare un po’ di spazio per il nido agli uccellini e compagnia bella e praticamente siamo stati un giorno a togliere solo gli arbusti dai filari in modo da poter passare. Il mantenimento dell’organismo agricolo, dal punto di vista puramente economico, è solo una gran spesa perché io vado a sottrarre spazio produttivo per mettere piante che tecnicamente non mi producono niente. Producono però indirettamente tutta una serie di vantaggi ambientali e di conseguenza vantaggi terapeutici perché più l’ambiente è stabile più le mie piante hanno pochi problemi.
Noi adesso abbiamo iniziato un lavoro di restauro prima di tutto, quindi ogni pianta la puliamo, togliamo le parti secche, la curiamo e intanto stiamo selezionando questi legni per fare dei nuovi piantini.
Altra cosa che abbiamo scelto di fare, per adesso, poi non so quanto resistiamo, perché è davvero molto faticoso, è quella di lavorare tutto a mano. E pensare che c’è un dislivello di 70-80 metri e ci portiamo su in spalla 200-250 litri d’acqua tutte le settimane. Lo facciamo un po’ perché ci piace così, poi perché si sta bene in quella vigna lì e poi perché sono nate delle sperimentazioni da un punto di vista più tecnico per capire quanto il calpestio vada ad impattare sui funghi, sulla peronospora. Sono state fatte alcune prove in Toscana e sembra che ci sia una relazione diretta tra calpestio e sviluppo di funghi, magari non c’è solo quello, però sembra che, passando sul terreno coi trattori che schiacciano e vibrano, la pianta sia più stressata e quindi volevo testare questa cosa.
Ci vogliono 4-5 anni per avere uno storico di dati e vedere se funziona.
Dal punto di vista della lavorazione, in vigna abbiamo lavorato col biologico, ben sotto le soglie richieste dal disciplinare, quindi usiamo il biologico come base, cioè rame e zolfo, ma volendo andare a ridurre al minimo anche quelli cerchiamo di andare a creare il più possibile i nostri preparati, che sono i vari macerati per esempio: dal macerato di ortica ai fermentati, che magari stai lì un anno a prepararli; per attivare il suolo per esempio raccogliamo microorganismi nel bosco, li coltiviamo, li selezioniamo.
Trattamenti sui funghi: solo rame e zolfo. Il disciplinare biologico permette di fare 6 kg di rame metallo a ettaro all’anno come massimo, chi fa solo bio standard, senza curarsi dell’organismo agricolo, senza accudire la biodiversità, è molto in difficoltà a tenere questo parametro. Tanto più in annate un po’ difficili in cui piove tanto, soprattutto in primavera quando c’è la spinta vegetativa, come negli ultimi anni, e quindi la pianta è molto soggetta a problematiche. Ancor più questo avviene con piante clonate, moderne, che sono molto vigorose, ma molto soggette a patologie, non ce la fanno, devono stare in copertura totale e rischiano di sforare.
Allora noi abbiamo attuato tutto un sistema di supporto alla pianta per andare a ridurre il rame e riusciamo a stare in metà di quello che ci richiede il disciplinare. Per fare ciò interveniamo per prima cosa sull’organismo agricolo, quindi mettendo piante, aiutando gli uccellini, seconda cosa aiutando il suolo, ma questo lo facciamo anche nell’orto, nei campi: raccogliamo microorganismi indigeni nel nostro suolo, li riproduciamo e poi li spruzziamo, in questo modo alziamo la vitalità del suolo con le cose che sono già presenti. Magari quelle che compri sono potentissime, ma sono solo un ceppo, due ceppi, quindi tutti gli anni devi reintegrarli. Invece come facciamo noi è tutto l’ambiente che ogni anno sale di un gradino e tu arrivi dopo 10-15 anni a innalzare l’asticella della resistenza di tutto il sistema.
Lavorare con l’organismo agricolo vuol dire creare un sistema che deve essere più complesso possibile, ma io devo trovare l’equilibrio tra quanto questa complessità mi aiuta e quanto è anche economica se voglio essere credibile agli occhi degli altri agricoltori, perché non tutti lavorano solo per gli ideali. È importante trovare soluzioni replicabili.
La vigna è l’ambiente dove l’agricoltore potrebbe sviluppare la massima biodiversità perché avendo un impianto stabile, gestendo bene l’interfila e il sottofila con tutte le erbe spontanee, radici, fiori, riesci ad avere una biodiversità pazzesca. In più noi mettiamo gli alberi alle capezzagne quindi creiamo degli spazi d’ombra, dei rifugi.
In maniera ufficiosa collaboriamo con ARPA e ISPRA. Forse quest’anno faremo una prova di fiorume, in pratica osservando i vari filari vediamo se sono equilibrati (dal punto di vista delle erbe spontanee) e se ci sono un po’ tutte le erbe mischiate, i fiori, le radici ecc; segniamo tutti i filari dove vediamo l’equilibrio di erbe infestanti e poi non le sfalciamo, raccogliamo i semi e andiamo a riprodurre quelle erbe infestanti sul vigneto in modo da aumentare una stabilità e aumentare la biodiversità. Andiamo a prendere i semi, li riseminiamo su tutto il vigneto aumentando l’equilibrio tra erbe infestanti che però sono già presenti nel mio vigneto. Questa tecnica di chiama fiorume, mi piace molto perché io sostengo le piante che il nostro terreno ha già scelto di far crescere, diciamo che gli diamo solo una mano a fare quello che vuole lui.
L’erba del vigneto fa capire come tu gestisci la vitalità del sottosuolo e degli insetti; sottosuolo vuol dire humus: se hai un terreno ricco di humus, l’attività microbica può generare in un anno 1500 tipi di sostanze antibiotiche diverse che il suolo produce in continuazione per se stesso.
Stiamo cercando di capire quanto la logica del fiorume insieme a tutte le attività del suolo riesce a contenere i funghi, perché il suolo stesso inizia a generare resistenza, quindi quello che era un problema, l’erba, diventa una risorsa, questa cosa è bellissima, un vero rovesciamento di paradigma.
La vinificazione
Per questo mi aiuta un amico che lavora in modo biologico – biodinamico sempre a Barbaresco. Facciamo il vino nella sua cantina. Insieme abbiamo lavorato anche sul metodo, lui ha voluto sperimentare un approccio naturale di vinificazione. Abbiamo deciso di lavorare tutto in manuale che vuol dire: rimontaggi manuali, follatura manuale e vasche non a temperatura controllata.
Quindi se non hai una percezione giusta, va tutto in aceto. Abbiamo deciso di lavorare con la fermentazione spontanea il che vuol dire che non andiamo ad aggiungere nessun tipo di lievito durante la fermentazione. Facciamo solo la tecnica del piede, in pratica andiamo qualche giorno prima in vigna a raccogliere una piccola parte di grappoli, 3-4 cesti, dove pensiamo ci siano lieviti migliori; selezioniamo i grappoli non per il gusto zuccherino, ma per il lievito, quindi l’esposizione. Fatta questa operazione, facciamo una piccola pre fermentazione come se fosse una pasta madre di 50-100 litri e poi quando andiamo a vendemmiare, torniamo a casa, facciamo un diraspamento molto leggero e poi mettiamo il piede, che in teoria ha già iniziato a fermentare. Sia la fermentazione alcolica sia la malolattica sono fatte in modo spontaneo, non sono mai indotte. L’unica cosa che possiamo fare è spostare la vasca, in caso facesse freddo, nel lato sud della cantina, oppure fuori una notte se fa troppo caldo.
Ma sono tutte cose manuali, tutto a percezione, non facciamo alcuna azione programmata e questo è proprio quello che intendiamo per arte vinificatoria. Vuol dire che io conosco bene gli ingredienti che ho anche perché sono super selezionati. Quando vendemmiamo selezioniamo addirittura gli acini, quindi abbiamo la massima sicurezza del prodotto.
La fermentazione spontanea vuol dire che ho tutti i lieviti in botte, sia quelli buoni che quelli cattivi.
Nella vinificazione classica, che può essere anche biologica, quando arriva l’uva in cantina si pigia, si butta del bisolfito, della solforosa, per uccidere gran parte dei ceppi batterici che non sono quelli utili cioè il lievito di birra, perché è l’unico resistente al bisolfito, quindi buttando il bisolfito muoiono tutti gli altri, che sono quelli problematici che danno le puzze, l’aceto ecc. Dopodiché, per sicurezza, si aggiungono ancora dei lieviti comprati e si va a indirizzare la fermentazione per il colore, il gusto ecc. Questa qua è la vinificazione normale, quindi uccidi i cattivi e aggiungi i buoni che vuoi.
Noi facciamo l’esatto opposto, prendiamo tutto e poi siamo noi a capire cosa succede, il rischio è che gli acetici vadano in sopravvento e il vino diventi cattivo. Il vantaggio è che mantieni tutta la complessità della tua vigna e il vino rimane vivo, continua a maturare di continuo, mentre nell’altro caso hai un vino che lo imbicchieri ed è bellissimo dopodiché, dopo 10 minuti, comincia a morire. Invece, il nostro vino lo apri e più sta aperto più diventa buono, perché tutta la complessità batterica che ha lavorato pian piano si esprime, così estrai tutto il terroir, hai tutti i lieviti che lavorano su tutti i sapori, su tutti i gusti. Alla fine, è come un pittore che si fa anche i colori, come si faceva una volta“.
Stefano Vegetabile
Per approfondimenti:
https://logicobio.net/2021/08/11/prepariamoci-a-visitare-la-ca-rotta/
https://logicobio.net/2020/02/04/la-ca-rotta/