Agricoltura organica e rigenerativa. Oltre il biologico: le idee, gli strumenti e le tecniche per un’agricoltura di qualità.

video conferenza programmata per il 28 luglio ore 14.30

Definita un’archeologa della piante, ha dato vita al progetto «Archeologia Arborea», salvando antiche varietà di frutti: «Coltivare gli alberi giusti, significa proteggere il futuro»

Le mele di Tolstoj. Le ciliegie (acide) di Cechov. Le fragole di Dostoevskij. E una donna, Isabella Dalla Ragione, che a dispetto della faccia birichina, starebbe benissimo con la frusta e il cappellaccio di Harrison Ford. L’Indiana Jones dei frutti scomparsi da molti anni viaggia tra Russia e Giordania, Vietnam e Palestina. Missione: ritrovare le varietà date per estinte, ridare loro vita – che significa rimetterle in produzione – non per ansia filologica, ma per proteggere il futuro dell’umanità.

Isabella è un’archeologa arborea, passione ereditata e a lungo condivisa con il padre Livio, professore di Botanica e Storia popolare molto amato nella sua Umbria. Tosta, colta, appassionata, ma poco “utilizzata” al di là dei riconoscimenti importanti come il Premio Nonino, porta avanti la fondazione con annesso centro di ricerca e un archeo-frutteto nella campagna di Città di Castello, dove  ritrovare gli stessi frutti dipinti nei più bei quadri rinascimentali di cui avete memoria. Per fortuna di Isabella, cervello e cesoie in fuga dall’Italia, esiste una sensibilità non dispersa tra le rive del Volga e le colline di Tula. È lei stessa a raccontarlo, con un sorriso agrodolce.

«Mi hanno cercato poco dopo il mio dottorato per dare forma e senso a ciò che restava dei frutteti illustri di un tempo. Le produzioni agricole in Russia erano appannaggio degli aristocratici, allo stesso tempo proprietari della terra e dei contadini che la lavoravano. I grandi scrittori erano  quasi sempre nobili e ricchissimi. Si facevano mandare i cataloghi dei vivai, la biodiversità era fantastica. Nei testi si contano quaranta qualità di fragole diverse. Oggi dobbiamo accontentarci di una manciata risicata di ibridi…. La parola sad  declinava sia il giardino che il frutteto, considerati simbolo di prosperità. Ha presente Il giardino dei ciliegi? In russo si chiama Viscnavisad, il giardino delle ciliegie acide. Quelle dolci in Russia non crescono, non fa abbastanza caldo e non abbastanza a lungo».

Il frutteto di Tolstoj non ha avuto vita facile. Lo scrittore scomparve nel 1910 e la figlia chiese invano allo zar Nicola II di costituire un museo. A farlo, nel 1921, dopo la rivoluzione, furono i bolscevichi. Dieci anni fa, Isabella ha cominciato a viaggiare alla volta di Tula, 200 km a sud est di Mosca, per curare gli alberi della tenuta di Jasnaja Poljana, dove convivono la casa natale, la biblioteca e il frutteto.
«Ormai le piante le chiamo per nome… Tolstoj sceglieva personalmente le piante, ne fece collocare oltre ottomila! Lavorare su quel frutteto è un grande onore, ma anche una sfida difficile. I meli fioriscono dopo metà maggio, sono emozionanti, enormi, vanno trattati singolarmente come delle creature vecchie e fragili, testimoni straordinari di una storia secolare e mitica. Uno dei nipoli, Ilja Tolsotj, mi ha confidato che vuole utilizzare la produzione per farne succhi e marmellate con il marchio del nonno: l’importante è sapere che il valore sta nella prosecuzione della storia e non nella quantità di mele prodotte».

Da Tolstoj a Dostoevskij, il passo è stato breve quanto la telefonata di Natalia Nikitina, immaginifica direttrice del museo Pastila Kolomna. La pastila è un dolce della tradizione russa a base di mele (ricorda un po’ le nostre gelatine di frutta), la cui produzione artigianale è stata ripresa negli ultimi anni, glorificata oltre che dal museo, da un festival molto popolare dedicato alle mele e alla poesia. Nikitina ha comprato il terreno confinante con la tenuta della famiglia Dostoevskij, semi abbandonata, con l’intento di creare un kolchoz, una fattoria didattica. «Ricreare il frutteto è complicato, perché durante la rivoluzione sono andati distrutti gran parte degli archivi. Solo negli ultimi anni è cominciato il recupero delle tradizioni, è stato ricostruito l’antico forno collettivo e stiamo cercando dei vecchi telai. Ricostruire le memorie è appassionante. A metà ‘800 Saratov, città natale di Juri Gagarin (il primo uomo nello spazio), ospitò un pittore fiorentino, Ettore Paolo Salvini Baracchi, arrivato al seguito di un ricco commerciante locale. Saratov sorge sulle rive del Volga (che lì è largo 10 km!) ricamate dai meleti. Baracchi costituì una scuola in cui si formarono alcuni tra i maggiori pittori russi dell’epoca. Che naturalmente dipingevano frutta… Piante meravigliose, a lungo abbandonate e ad alto rischio di scomparsa. Lì hanno capito che bisogna intervenire».

E in Italia?
«Qui continuo ad arrabbiarmi. Siamo nella culla della storia, possiamo ancora leggere le stratificazioni di Etruschi e Romani, in quale altro Paese? C’è ancora così tanto da scoprire! Studiare nei monasteri benedettini, vero ponte tra Impero romano e Medioevo, non sarebbe una ricerca erudita, fine a se stessa, ma il recupero di un sapere, la dimostrazione della capacità adattativa del patrimonio genetico, fondamentale per il nostro futuro, e non solo per il nostro passato. Occorre ricostruire le radici, il percorso, la sostanza della biodiversità, che fanno parte del nostro Dna».

Eppure, nessun finanziamento alle ricerche archeobotaniche.
«Il rapporto con la natura non può essere statico per definizione. La natura si evolve. E invece passa l’idea delle superbanche, tipo quella delle isole Svalbard. Concentrare lì tutta la biodiversità non ha senso. I semi vanno fatti fruttificare, altrimenti diventano come una collezione di farfalle fissate nelle teche con gli spilli. Poi naturalmente c’è anche il fatto culturale. L’arte rinascimentale è un catalogo straordinario poco studiato. Agli Uffizi ci sono le opere di una miniaturista fiorentina, Giovanna Garzoni, che dipingeva i frutti raccolti nei giardini dei Medici. I compilatori di cataloghi confondono azzueruoli e ciliegie… I pittori sapevano, dipingevano simboli, i frutti erano scelti con grande accuratezza».

Recuperare i fili è un’attitudine femminile?
«Le donne sono le mie testimoni privilegiate. Siamo quelle che hanno più contatti con la natura, ci portiamo addosso il concetto della conservazione e della trasmissione, uguale nelle donne di tutto il mondo. A noi compete la prosecuzione della specie e siamo le depositarie della memoria, che è poi la stessa cosa. La storia del quotidiano, familiare, rurale la fanno le donne. E coltivare la frutta giusta, resistente ai parassiti, poco bisognosa l’acqua, insomma la frutta antica, significa proteggere il futuro. Vorrei poterlo fare anche qui, non solo a casa di Tolstoj».

da https://www.vanityfair.it/mybusiness/donne-nel-mondo/2020/02/15/isabella-dalla-ragione-frutti-estinzione-archeologia-arborea

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