Comunicare il territorio: gli areali del cibo e il design sistemico sono strumenti per passare dalla descrizione di quello che c’è alla possibilità di agire per trasformare il possibile? Racconto video di Cristian Benaglio

Chi è Cristian Benaglio?
Nasce e cresce in fattoria, ma si lascia condurre dalla passione per il cinema e la tv. Grazie a tutte le esperienze fatte durante i dieci anni di produzione cine-televisiva, sviluppa una consapevolezza che gli permette di riqualificare e valorizzare la propria storia e tradizione rurale.
È la storia di Cristian Benaglio, oggi impegnato principalmente su tre fronti: trasformare l’azienda agricola di famiglia in un centro di sperimentazione e divulgazione agroecologico per la pianura, contribuire alla ri-progettazione agroalimentare del territorio bresciano anche attraverso il progetto di “Ruralopoli” e divulgare i migliori modelli agroecologici sul territorio nazionale insieme a Ciboprossimo e ReteSemiRurali.

Da: http://www.themapreport.com/2021/01/28/cristian-benaglio

Racconto video del 26.08.2021

Riportiamo di seguito la trascrizione del racconto video:

Se vi dico design cosa vi viene in mente? Il profilo di una macchina? La forma di una poltrona che avete in soggiorno? siamo circondati da oggetti di design. È la pubblicità che ci ha aiutato a familiarizzare con il termine, questo è sicuro, però ha deformato un po’ la traduzione come se il design si riferisse più alla bellezza, all’armonia delle forme più che alla vera traduzione del termine stesso anche perché il verbo e progettare, il sostantivo è progettazione. Diciamo che c’è un design che, negli ultimi tempi, sta diventando decisamente più importante di tutti gli altri: è il design sistemico. Il nome composto così da due termini sembra un po’ di nicchia, una cosa complicata, difficile da capire, in realtà in questa cosa ci siamo dentro tutti. Ad esempio, il design sistemico riferito alla produzione di cibo riguarda chi produce, chi mangia, e tutto quello che ci sta in mezzo. Ora non voglio mettermi a sviscerare la definizione tecnica di design sistemico, quello lo lascio fare a chi di competenza, però continuo a sentire sempre più divulgatori, a volte anche improvvisati, che mettono in priorità dei piccoli gesti di auto sostenibilità, individuale, isolata per risolvere i grandi problemi ambientali, utilizzando un certo tipo di confezione piuttosto che facendo la raccolta differenziata. Non dico che tutta questa roba non sia importante, perché i piccoli gesti, lo sappiamo tutti, partono dal quotidiano, la goccia che fa il bicchiere che poi fa il mare, siamo tutti d’accordo, però quello che c’è di sbagliato è la priorità. Il tema centrale è necessariamente collettivo e richiede la cooperazione, quella vera, per far sì che tutti piccoli gesti non rimangano delle isole separate che vanno per campi o per fatti loro. Bisogna pensarli affinché possano avere degli effetti che poi compongono un grande puzzle del territorio. Se ci facciamo caso, ci sono sempre più gruppi che si organizzano nel territorio -comuni, province, regioni- e danno luogo a eventi, iniziative bellissime. Benissimo che ci siano, però, molte volte, rimangono limitate all’evento in sé, non riescono ad essere collegati e ad avere un filo comune. Questo è un peccato. se posso essere un pochino severo credo che la cosiddetta sostenibilità o, per meglio dire, la gestione e ottimizzazione del nostro impatto ambientale, non può più permettersi il lusso di dare luogo a eventi isolati, belli ma finiti, limitati a se stessi, ha bisogno di progettazione. Ci siamo lasciati galleggiare per decenni nei flussi orientati della grande distribuzione, riguardo la produzione di cibo, sto dicendo, ovviamente, e abbiamo visto cosa è successo. I risultati sono lì da vedere. Se vogliamo cambiare le cose e, come si suol dire, prendere davvero in mano le nostre vite, e quindi anche le responsabilità di queste azioni e di questi flussi, non credo che ne possiamo uscire dicendo a tutti “non andate più al supermercato, scegliete il vostro agricoltore preferito e adottatelo”. Vi sembra reale? Per farvi un esempio, adesso hanno un po’ rallentato, ma negli ultimi anni abbiamo visto, sono esplosi tutti i programmi di cucina, di cibo, tutto bello ma molto estetico e personalistico. Secondo me gli aspetti più intriganti, affascinanti e importanti legati alla produzione del cibo stanno dall’altra parte ed è quella parte che dice delle zone, dei territori, dei produttori, delle loro vite, delle relazioni che si sono sempre generate e consolidate, nel tempo, attorno alla produzione del cibo. Questa è una cosa che si può definire cultura, e funziona dalla notte dei tempi. È su questa che, secondo me, bisogna porre l’attenzione e, in qualche modo, concentrarsi per riprogettare. Non voglio esagerare, ma se riuscissimo a fare un bel lavoro sulla progettazione io credo che, se non metà, una buonissima parte di tutto il problema del nostro impatto ambientale, avremmo risolto veramente un gran pezzo del problema dell’agro ecologia e della sostenibilità legata all’impatto ambientale. Anche perché, come al solito, per cercare di risolvere velocemente un problema bisogna cercare di partire dalla radice del problema, in questo caso la radice della questione è il nostro complesso sistema sociale, tutti i flussi e le relazioni che lo quantificano, lo determinano. Radice, impatto, sistema flusso… sì, me ne rendo conto, sembra una roba concettuale, ma si può anche semplificare. in realtà basta pensare alla produzione di un cibo fatto lì che poi deve andare là per essere trasformato, poi deve tornare lì per essere confezionato e poi verrà venduto su quel pezzo di zona là. Tutta questa roba qua sono flussi, di solito è dentro il capitolo della logistica. Ci sono due possibilità, o la si subisce, oppure la si progetta, pensando a quei presupposti e a quei principi che vogliamo mettere come priorità. Anche perché, per gli addetti ai lavori, è già da un po’ che si è consapevoli che è lì il fulcro, che è lì dove dobbiamo agire.

Io, nel mio piccolo, negli ultimi anni mi sono dedicato, anche e soprattutto, a cercare di portare avanti un progetto territoriale, nella zona in cui sono cresciuto, per la costituzione di una CSA, Comunità che supporta l’Agricoltura, è un termine inglese, è un modello, in cui cerca di creare intorno ai produttori virtuosi, così definiti, un gruppo di persone che riempia le dispense e i frigoriferi in maniera pre organizzata. Questo in super sintesi. Nel tentativo di creare questa cosa sul territorio, ovviamente, si è dovuto fare un lavoro di ricerca, si è dovuto fare un lavoro di studio, si è dovuto fare un lavoro di riprogettazione. Ecco, questa, secondo me, è una parte che, ovviamente, va personalizzata, è molto soggettiva riguardo ai territori, cambia da zona a zona, da areale a areale, evidentemente. Ma tutto questo mi ha permesso di capire quanto il design sistemico, in effetti, che ci piaccia o no, è la parte fondamentale, il modo vero per poter agire su tutte quelle dinamiche che determinano un certo tipo di impatto ambientale della produzione di cibo in modo sistematico, non come un fuoco di paglia o un evento sporadico mosso solo per un entusiasmo momentaneo. In tutto questo lavoro ho avuto la fortuna di collaborare con persone che ci lavorano già da parecchio su queste faccende, mi viene in mente Alessandro Scassellati, Gian Mario Folini della Scuola Ambulante di Agricoltura Sostenibile, con tutto il lavoro che hanno fatto in un giro per mezza nazione di studio e riprogettazione dei territori, partendo dalle analisi, ovviamente. Mi viene in mente il lavoro tecnologico, dove la tecnologia può dare un supporto a questa riprogettazione, e quindi, ovviamente, il progetto di Ciboprossimo, ma parlando di design sistemico non si può non scomodare tutto il lavoro fatto al Politecnico di Torino dal Professor Bistagnino: un lavoro mastodontico, di cui ora mi piace lasciare due punti fondamentali che danno una chiara idea, immediata, di quello di cui stiamo parlando, cioè quale sia il valore del design sistemico. La prima considerazione fondamentale che emerge è che se si riuscisse a fare un lavoro di reale e seria progettazione sistemica prima, dopo ci si potrebbe quantomeno permettere il lusso di non dover più avere la preoccupazione immane di comunicare, di sensibilizzare sulla s sostenibilità ogni persona, ogni passante sulla strada, perché sarebbe un risultato implicito, fisiologico, sarebbe un effetto collaterale. La seconda considerazione fondamentale, che mi è piaciuto ricevere e prenderne atto, è che non stiamo parlando di una teoria bella e impossibile, di una cosa concettuale. Dagli studi fatti, dalle analisi fatte e dalle esperienze fatte, una progettazione territoriale, parliamo anche solo di una food policy, di una politica alimentare di un territorio, semplicemente agendo su quello si generano nuove opportunità di lavoro, si generano nuove mansioni, nuove attività, nuovi impegni, delle nuove funzioni. Non è una cosa di cui farsi carico e sarà un debito per l’eternità, no, è il contrario, è una rigenerazione, e uscire dallo schema omologato di come funziona un territorio e pensarlo con creatività. Creatività forse dà l’idea di fantasia, di cose campate per aria. No, usare creatività nell’osservazione di un territorio vuol dire che se in quel posto lì c’è bisogno di una funzione che non è mai stata svolta, ma per evoluzione dell’epoca e delle necessità c’è bisogno e ci sono le persone disponibili a farlo, perché non attivare una nuova funzione. Così è stato fatto in molti territori, questa cosa è già realtà, sta già funzionando e la prospettiva che ne esce dagli studi e dalle esperienze fatte, le dà uno sguardo che è decisamente propositivo nei confronti del futuro e della possibilità di agire e risolvere una questione che in molti casi sembra irrisolvibile. Adesso poi bisognerebbe snocciolare tutta la questione del design sistemico, aprire tutte le sottocartelle, insomma entrare nel merito, che è veramente complesso, ampio, articolato. Io ho raccolto molto volentieri la provocazione di Agrispesa, dove, all’interno del progetto Logicobio, ha voluto intenzionalmente, per ovvie ragioni, riaprire la questione su questo tema, chiedendo senza retorica se il design sistemico potesse essere effettivamente lo strumento chiave per passare da un’analisi di quello che c’è sui territori alla possibilità di influire sulle dinamiche, sui flussi di cui abbiamo appena parlato. Ovviamente la risposta, per me, è sì, ma passerei a quella dopo: le persone, i cittadini, e quindi anche gli stakeholders territoriali, politici e quant’altro sono consapevoli che il design sistemico è la priorità, è quello di cui abbiamo bisogno? Questa è la domanda successiva a cui passerei immediatamente. Il fatto che sia il fulcro su cui agire per me è assodato e, se mi posso permettere, nel lavoro di progettazione, la prima cosa su cui andrei a lavorare è l’immaginario, perché finché per riempire la dispensa, il frigorifero, saremo ancora legati al carrello della spesa, sarà sempre in salita, sarà tutto molto faticoso. Una cosa che mi piace ripetere all’infinito è che la grande distribuzione organizzata, con i suoi flussi e i suoi sistemi ormai consolidati, non va demonizzata, va dimenticata.

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